Incas 2002 - Paolo Lucidera
Autore: Paolo Lucidera alias LucidoGuru
Periodo: agosto 2002
Partecipanti:
- Paolo Lucidera e Sonia su Honda Transalp XL600V 1996
- Massimiliano Segreto e Bettina su Honda Transalp XL600V 1987
“Pronto!”
“Ciao Paolo sono Bibo senti... un amico di un amico che sta organizzando un viaggio in moto in Sudamerica vi interessa?”
“Aspetta un attimo..... Soniaaa... Bibo mi chiede se......... “
“Si ci interessa!”
A dire il vero è già da qualche mese che a casa si meditava sulle vacanze da farsi, combattuti tra un bel viaggio in moto o tornare, zaino a spalle, in America Latina che tanto ci ha dato solo qualche anno prima in un lunghissimo viaggio attraverso Messico, Guatemala e Belize. La proposta fatta arriva a fagiolo e coniuga alla perfezione le due prospettive. L’organizzazione del viaggio procede spedita, unico lato negativo i costi lievitano di mese in mese, nonostante a Giugno infiliamo le 11 moto in un container assieme a bancali di torba....
mahh.... speriamo bene.... efficientissimo Andrea, l’organizzatore ci aggiorna con tanto di foto su ogni tappa della “Antofagasta“ la nave che trasporta le moto... mancano solo ci indichi qual’é il nostro container...
Lima non è una città accogliente, non almeno come eravamo abituati in Messico, non ti mette a tuo agio, l’alloggio poi in uno storico ma trasandato ostello, il clima umido e nebbioso non contribuiscono a migliorare l’umore. Ogni ora aumenta la voglia di salire in moto e partire, ma prima bisogna sdoganare le moto; fortunatamente l’operazione si rivela abbastanza rapida e finalmente partiamo inforcando verso Sud la mitica Panamericana.
Hugo ci aveva detto esattamente dove la nebbia sarebbe terminata e iniziato a splendere il sole, nessuno ci credeva invece .... ecco sparire la pesante nebbia della costiera e splendere un caldo sole.
Hugo è un vulcanico autista che ci seguirà per la parte peruviana del viaggio per trasportare i bagagli e eventuali passeggeri; Andrea è stato veramente premuroso! Sul suo piccolo pulmino campeggia l’immagine del “Che” e non manca di esternare la poca ammirazione per i “gringos” che a suo dire da decenni sfruttano la sua terra.
Quando, dopo alcune ora arriviamo all’oasi di Huacacina dove sembra di stare in Africa sia per il caldo sole, sia per le immense dune di sabbia, Lima è orma lontanissima nella nostra mente e ci tornerà solo a fine viaggio quando a Santiago troveremo un clima altrettanto uggioso.
Dal piccolo aereo le linee di Nazca suscitano incredulità. E’ davvero difficile immaginare che nessuno di chi ha ideato e faticosamente realizzato quei disegni di pietra non li abbia mai visti per intero dal cielo, dalla prospettiva nella quale ci troviamo noi, è veramente un mistero come un mistero sono i teschi rinvenuti nella zona dalle forme allungate, ottenute per fasciatura fin da neonati, delle antiche tribù che spesso portavano alla pazzia e alla morte (o a rudimentali operazioni al cranio).
Il giorno seguente dopo l’aria tocca all’acqua. Ci imbarchiamo su piccole barche per visitare le isole Ballestas, un paradiso naturalistico, popolato da colonie di leoni marini e foche, pinguini e un infinità di uccelli che nidificano sulle impervie scogliere.
E dopo aria e acqua finalmente un po’ di terra e di quella “buona” da mordere con le tassellate che non aspettano altro.
La penisola di Paracas è uno spettacolo irreale, altissime dune di sabbia compattata dall’umidità arrivano fin nel mare, è davvero spettacolare solcarle, verrebbe voglia di non fermarsi mai ma ... il viaggio ci aspetta, siamo solo all’inizio, e .... già abbiamo accumulato tanti e tali emozioni!
Oggi ci aspetta il primo assaggio con le Ande, con le ante quote, con il temuto “soroche” . Al passo Apacheta siamo oltre 4700 metri; visto che ancora non ci siamo acclimatati ci è stato raccomandato di non fermarci e ridiscendere subito per evitare problemi. Io mi sento bene e non resisto, al passo provo a farmi una corsetta è davvero ridicolo dopo pochi metri essere così in affanno, affanno che purtroppo interessa anche la Transalp 650 di Roberto che dopo i 3000 metri arranca ed a nulla serve il mio tentativo di regolare la carburazione, servono interventi più drastici, che rimandiamo appena possibile.
Facciamo tappa per la notte e per una ricca cena a base di carne alla griglia nella vitale cittadina di Ayacucho che con i suoi “soli” 2700m dovrebbe permetterci di acclimatarci e affrontare con tranquillità la tappa di domani che ci porterà a Cuzco dove ci fermeremo alcuni giorni. Le prossime due tappe sono quasi interamente sterrate e a dire il vero le stiamo aspettando da un po’ anche se con qualche timore visto che esattamente non ne conosciamo la difficoltà. La mattina il sole brilla caldo ma l’aria è gelida e inequivocabilmente ci ricorda che ormai abbiamo abbandonato la parte calda del viaggio, da qui in poi dalle piccole borse salteranno fuori come dal cappello di un mago, maglioni, calzemaglia, caldi pile, e alcuni indumenti da sci. Anche il temuto “soroche” il mal di montagna, risparmia gran parte del gruppo, l’umore è ottimo e finalmente siamo riusciti a conoscerci un po’ visto che le 21 persone del gruppo sono estremamente eterogeneo sia come provenienza geografica (si spazia dal Friuli fino alla Sicilia) sia come età, ma è bello vedere che ci accomuna la voglia di viaggiare per conoscere, anche se con rammarico solo al ritorno scopriremo che qualche partecipante scriverà e documenterà il nostro viaggio come un viaggio fatto in solitaria.... che squallore!.
La tappa non è molto difficoltosa, Sonia Bettina e Paola rimangono senza problemi sul sellino posteriore delle nostre moto, ma si dimostra più lunga del previsto, dapprima un piccolo intoppo per fare benzina travasata da dubbi fusti (speriamo bene!) in un paesino sperduto, poi un piccolo inconveniente al freno anteriore di Bibo ci porta a fare gli ultimi chilometri che conducono a Andahuaylas completamente al buio.
E’ un momento indimenticabile, il freddo è pungente ma le stelle brillano come mai io le abbia viste, fatico a guardare la strada, ad affrontare le curve e le asperità del percorso, sono perso in quel cielo d’incanto.
La mattina si riparte e torniamo a salire e ridiscendere vette sempre su sterrati per giungere solo nel tardo pomeriggio sull’asfalto, è incredibile come sembri liscio dopo due giorni di pietre e sassi. In serata arriviamo a Cuzco. La vediamo dall’alto adagiata in una conca ... già da lì emana un fascino particolare. Ci sistemiamo nel semplice ma confortevole ostello, giusto il tempo di pulirci dalla polvere che ha riempito ogni orifizio e ci fa apparire di un altra epoca (antica o post atomica?) e usciamo per una passeggiata... nonostante il freddo dei quasi 3500 metri è impossibile resisterle...
Ci sono dei luoghi con i quali si stabilisce da subito una sintonia, dire “ti senti a casa” sarebbe estremamente limitativo, perché della tua terra d’origine, della tua città, della tua casa non hanno assolutamente nulla ma di fatto senti che li potresti vivere, Cuzco è una di quelle, turistica sicuramente, troppo turistica, tuttavia il suo fascino è solo velato dai molti locali alcuni dei quali di qualità dove si esaltano i frutti della “madre tierra” la madre di tutti noi che nei nostri paesi “civilizzati” abbiamo violentato e che qui in America Latina viene rivalutata.
Questa parte del viaggio è la più classica, chi non accomuna il Perù a Matchu Picchu? ma nonostante le 1000 foto viste è una sorpresa ammirare le rovine della civiltà Incas in una posizione tanto irraggiungibile quanto affascinante, come è un mistero, tema ricorrente questo del mistero..., capire come siano realizzate le costruzioni della Valle Sagrada e i muri, della stessa Cuzco accoppiando con precisione millimetrica pietre pesanti tonnellate usando solo la forza dell’uomo e rudimentali attrezzature, muri che nemmeno la furia distruttrice dei dominatori ha scalfito.
Però in una realtà come questa non si possono non fare i conti con la storia che ha visto sterminare una popolazione tanto evoluta e con l’attuale situazione economica, il biglietto per accedere a Matchu Pitchu costa quanto guadagna una famiglia di 5 persone lavorando nelle saline dalla Valle Sagrada e l’accattonaggio mascherato dal costo di una fotografia rattrista e offende la dignità di un popolo tanto valoroso che da sempre combatte contro il clima aspro della montagna ma che si è arreso prima ai fucili degli spagnoli e oggi ai dollari Americani.
La strada che ci separa da Puno, l’ultima tappa peruviana, scorre veloce e estremamente piacevole. Qui, visto che nei prossimi giorni passeremo in Bolivia e le quote non scenderanno mai sotto i 4000m, sistemiamo al meglio le moto, si puliscono i filtri, si serra qualche vite ma soprattutto interveniamo sulla moto di Roberto che ha bisogno di una coppia di getti più piccoli (abbiamo provato con al coca ma non ha funzionato!) che premurosamente avevamo portato per le nostre e fin ora non sono serviti.
Il lago Titicaca ci riserva piacevoli sorprese. Puno è un paesino vitale, ma che colpiscono sono le sue isole,
Le isole Uros, isole galleggianti ottenute dal taglio delle canne (che crescono naturalmente nel lago e che vengono reintegrate periodicamente per compensare il deterioramento), camminarci sopra fa uno strano effetto di instabilità. Anche gli insediamenti sono fatti con questo materiale mentre le uniche strutture realizzate in lamiera sono le scuole. Gli abitanti si dedicano alla pesca, oggi anche al turismo, in una perfetta simbiosi con la natura.
Simbiosi che troviamo anche sull’isola Taquile, dove gli abitanti, fieri e orgogliosi delle loro tradizioni, raccolti in piccole cooperative vendono i loro prodotti e utilizzano pannelli solari per illuminare le loro case. Chi l’avrebbe detto che in uno dei paesi più poveri del Sud America avessimo così tanto da imparare?.
Alla dogana di Desaguadero mentre ci perdiamo in un vorticoso turbine di carte e timbri in un via vai di merci e persone penso a cosa ci aspetta e cosa abbiamo visto, il Perù è stato una piacevole conferma ma della Bolivia conosciamo poco: non è una ambita meta turistica, non si legge molto sui giornali, si legge più delle missioni che aiutano questa gente, dentro di me non credo mi potrà dare le stesse emozioni del Perù... mai pensiero fu più sbagliato.
La Paz è una metropoli caotica, rumorosa e inquinata, solo la bella cattedrale rende piacevole la tappa che dura comunque una sola notte, l’indomani partiamo per Potosi, ci aspetta un lungo trasferimento in parte sterrato.
A Potosi sembra di tornare indietro nel tempo, alloggiamo in una caratteristica “fazenda” una piccola azienda agricola con un temuto “padrone” che comanda a bacchetta tutti i suoi “servi”. Mi immagino che i nostri nonni vivessero stesse condizioni nelle pianure contadine Italiane. In compenso con noi ospiti il comportamento è squisito e come il loro vino, l’ambiente tranquillo e accogliente, ma dimenticherò difficilmente il pianto di una ragazza quasi in ginocchio a elemosinare dal “padrone” qualcosa che probabilmente da noi oggi è un diritto ma che spesso ci dimentichiamo quanto sia costato ottenerlo. Potosì è anche la città dell’argento con le miniere del Cerro Rico dalle quali trassero ricchezza i dominatori spagnoli.
I due giorni a Potosì ci servono per organizzare i mezzi d’appoggio per arrivare da Uyuni fino alla dogana Cilena attraversando il cuore della Bolivia, 5 giorni sulle strade più alte del mondo. Già intuiamo che qualcosa non quadra, l’agenzia suggeritaci dall’Italia alla quale abbiamo già versato un anticipo, da prima ci garantisce di raggiungerci a Potosi per portare bagagli e eventualmente i passeggeri fino a Uyuni in quanto la strada è abbastanza impegnativa ma non lo fa e, come seconda sorpresa, non ci garantisce nemmeno taniche per stivare la benzina sufficiente per tutto il tour. Così ci troviamo sulla pista per Uyuni carichi e con legate alla meglio voluminose taniche recuperate a fatica.... ma le sorprese non sono finite...
Arriviamo tardi, il percorso in due con tutti i bagagli e le taniche (per fortuna vuote) è stato impegnativo, tante buche pietre e anche qualche tratto di tole ondule, che mettono a dura prova i meno esperti di fuoristrada, e come se non bastasse solo noi primi arrivati riusciamo a fare benzina perché l’unico distributore dell’inesistente paesino di Uyuni la esaurisce.
Ci rechiamo all’agenzia che ci lascia letteralmente nella merda, dovremmo per sperare di trovare benzina andare all’alba al distributore con tanto di taniche (si scrive alba si legge 15 gradi sotto zero!) oppure attendere un altro giorno sperando che la benzina ci sia. Incazzati per la poca serietà e il mancato rispetto degli accordi ce ne torniamo alla nostra pensioncina, fa freddo molto freddo ma al rientro il Ciocio ha uno scatto d’orgoglio e si fionda in una delle altre numerose agenzia stranamente ancora aperta dove troviamo tutto: disponibilità, benzina, taniche e un prezzo migliore, ci chiedono solo un acconto per fare la spesa per i pasti che nei rifugi non vengono serviti... é fatta! Svegliamo gli altri e paghiamo l’anticipo... si parte...
La mattina in questo periodo a queste quote non esiste, la vita inizia alle 10-11 e termina alle 4 di pomeriggio, prima e dopo fa troppo freddo, così abbiamo tutto il tempo di sistemarci e indossare quanto di più pesante abbiamo e attendere con pazienza che il sole scaldi l’aria.
Pochi chilometri e siamo con le nostre gomme sul bianco sale del salar de Uyuni... il primo impatto è strano sembra neve e tendo a frenare e accelerare con estrema cautela ma quando inizia la confidenza è spettacolare filare a tutta velocità su questo manto duro e liscio senza alcun riferimento, poi fare traiettorie assurde a 100 all’ora disegnare ampi cerchi, non sembra di stare con le ruote a terra sembra di stare in cielo è fantastico.
Ma ecco da tutto questo candore in lontananza emergere qualcosa, è l’ isla do Pescado ....... uno scherzo della natura, terra rossa vulcanica e un infinità di cactus su quest’isola in un mare di sale pare la scenografia di un film surreale. Ci fermiamo per un veloce pranzo. In serata arriviamo nel paesino di San Juan dove pernottiamo in un freddo rifugio.
Durante la semplice cena parliamo con i nostri accompagnatori sull’itinerario da fare il giorno seguente dove toccheremo i passaggi più alti e ardui del viaggio, purtroppo a causa della molta neve ancora presente non riusciremo a percorrere la strada più alta del mondo che si spinge a quasi 6000m, ma un itinerario più corto concentrato sulle (splendide) lagune boliviane. La mattina sotto un bel sole ma un freddo tagliente partiamo su un bella pista, alcune passeggere, Sonia, Bettina ecc. ancora non demordono e stanno sulla moto.. il paesaggio è indescrivibile, in un cielo blu si stagliano alte vette ricche di minerali che le colorano: il rosso, il verde, l’argento il turchese mescolati in tutte le loro sfumature hanno dell’irreale.
Anche il percorso è splendido un godurioso alternarsi di veloci piste polverose, tratti pietrosi e compatti, qualche insidioso guado, cosa chiedere di più? La sabbia? Arriva anche quella e le nostre passeggere devono passare sulle jeep, purtroppo la sabbia mette in difficoltà i meno esperti di off ed emergono tutti i limiti delle pesanti Bmw GS. Andrea in un tratto veloce, con la sua 1150 Adv non vede un grosso avvallamento e ci finisce dentro, la moto scalcia col rigido posteriore e lo disarciona. Fortunatamente solo qualche botta per Andrea, poteva concludersi solo con tanto spavento invece la rigida sospensione anteriore accusa il colpo, il telelever si deforma le forcelle si piegano in avanti (effetto stranissimo). Vani i tentativi di sistemarla. E’ iniziata la giornata più buia di tutto il viaggio ma che ci riserverà tanti ricordi da raccontare agli amici.
Sembra incredibile come da 4 case perse nel nulla, dove chi ci abita non si capisce bene di cosa possa vivere, possano saltar fuori tanti bambini urlanti, e da sotto un consunto telone un provvidenziale camioncino.
Uno Chevrolet degli anni 50 fermo da chissà quanto, il solo avviamento merita un paragrafo... Anacleto il nostro improvvisato autista esce di casa con sotto braccio una pesantissima batteria e la installa, poi esce con un annaffiatoio e riempie il radiatore di acqua, poi è la volta della benzina... un po’ nel serbatoio e mezzo bicchiere nel piccolo carburatore, due giri di avviamento e dall’otto cilindri americano esce un borbottio che alla prima sgasata diventa sinfonia, sporcata solo dal sibilo di cinghie indurite dal tempo.... incredibile funziona!
Anche Anacleto merita il giusto spazio: è un uomo piccolo, dimostra 45 anni ma ne ha 10 in meno parla sempre a voce bassa, non per timore ma per abitudine e come tutti gli uomini del mondo è “schiavo della ghiandola mammaria” ovvero quando Andrea contratta il prezzo del trasporto, lui fa solo da tramite per la moglie che decide e pone le condizioni, ma quando dopo un giorno di viaggio gli chiediamo di prolungare il viaggio fino al confine col Cile, ci pensa bene e, nonostante contravvenga alle condizioni dettate dalla moglie, accetta. Anacleto vive in uno dei paesi più poveri del mondo ma forse nemmeno lo sa, non invidia la nostra vita, è fiero della sua, di quel poco che ha del suo camioncino consunto ereditato dal padre che a sua volta lo ereditò dal nonno. Ha una sua storia non vive inseguendo quelle spacciate da invadenti telenovelas, non vive la vita di altri come succede nelle mille favelas a ridosso delle grandi città. Ha dignità.
Il viaggio prosegue, ma siamo in ritardo, il percorso è ancora lungo affascinante e piuttosto duro. Ci fermiamo alla laguna Blanca dove scatto forse le foto più belle di tutto il viaggio.
Poi ripartiamo velocemente, il gruppo inizia a sgranarsi troppo, ad uno sperduto posto di controllo attendiamo oltre ½ ora il resto del gruppo. Ancora non sono scesi dalla moto che la prima jeep che ci accompagna parte a tutta velocità con alcune moto che la seguono, attendo un attimo e poi parto anche io. Il sole inizia a calare. Quando la seconda jeep mi supera e poi subito svolta su una pista secondaria che gira attorno alla laguna Colorada capisco che, qualcosa non va!. Mi fermo, attendo il resto del gruppo, fortunatamente dopo poco arriva il Ciocio che mi vede fermo e ne approfitta per una foto, gli faccio cenno che si va a dx e sicuro che abbia capito riparto a tutta birra, non c’é una strada da seguire ma una distesa di grossa sabbia rossa. Davanti a me per chilometri non c’é nessuno. Solo in lontananza, illuminata dagli ultimi orizzontali raggi di sole, si vede la polvere sollevata dal gruppo e non è poco. Vado spedito e mi cimento in qualche numero di tutto rispetto, mi piace quel fondo, mi piace molto e mi sento sicuro, dopo alcuni minuti la polvere si avvicina e supero Ciccio con la sua XT. Ciccio mi ferma e mi dice che non ha quasi più benzina... così mi metto dietro a lui e lo scorto (lentamente) come un angelo custode, il sole è ormai tramontato, davanti a noi non c’é più nessuno, pochi minuti ed è buio pesto, ma dove cazzo è sto rifugio? La temperatura è crollata bruscamente, altri due minuti e la moto di Ciccio si ammutolisce.. merda... merda... merda.... piccola discussione sul da farsi... “sali che ti porto” ma lui ha paura della sabbia e in due in effetti non è il massimo, travasare la benzina nemmeno a pensarci.... non ne ho più, degli altri che in teoria dovrebbero seguirci, nemmeno l’ombra anzi sarebbe più corretto dire nemmeno la luce di un fanale, l’unica è tentare... resetto il parziale e parto. Mi fermo di tanto in tanto e scendo dalla moto cercando tracce di moto. Un paio di km e dopo un dosso fortunatamente mi appare il rifugio con le sue deboli luci... fiuuuu... é andata....
Comunico al gruppo che dietro di me c’é solo Ciccio fermo senza benzina ma degli altri e di Anacleto nessuna traccia. Le jeep partono alla ricerca, Ciccio lo troviamo subito, mi fermo con lui a far segnali con i fari sperando gli altri li vedano.
Ciccio mi racconta dei pensieri lugubri mentre era solo e la nostra mente va agli amici dispersi nel gelido nulla dei 4500 metri. Ci guardiamo attorno ... nonostante il buio il paesaggio è unico, non una pianta, un cespuglio, un riparo, solo le stelle si specchiano nella laguna liquida grazie all’elevata concentrazione di sale e nel riflesso si intravedono i famosi fenicotteri unica forma di vita presente, oltre a noi semi assiderati.
Dopo almeno un ora il gruppo si ricompatta, alla fine Ciocio non mi aveva visto prendere la pista laterale ed aveva proseguito, mentre il buon Anacleto aveva perso tutta la benzina ed era rimasto fermo in un punto non di passaggio. Solo una piccola pila e l’insistenza di Ester che ha obbligato gli autisti a controllare cosa fosse quella piccola luce lampeggiante ha evitato a Andrea Imma e Anacleto un notte all’aperto.
Marco e Antonio sono stremati dal freddo dalla paura e dalla tensione della guida, il rifugio con i suoi 6 gradi non ci aiuta molto, mangiamo qualcosa a lume di candela e senza spogliarci ci adagiamo sui letti della camerata.
La mattina arriva rapida, e non potrebbe essere altrimenti dopo una giornata tanto intensa, usciamo per vedere il paesaggio e per scaldarci visto che le lamiere del rifugio non sono certo termiche, fuori come gigantesche lucertole ad assorbire il calore ci sono una decina di fuoristrada tutte allineate al sole, qualcuna col cofano aperto sembra sbadigliare. Il termometro sulla moto di Andrea ha memorizzato una minima della notte di –17, mica male!.
Nel frattempo esce anche Anacleto con la sua batteria sotto braccio e l’annaffiatoio nell’altra mano, seguo stregato quella procedura d’altri tempi e alla prima sgasata non riesco a non godere.
Ripartiamo, ci aspettano ancora ore di fuoristrada ed il passaggio più alto prima di arrivare in Cile.
C’é tanta neve attorno alla pista, il GPS segna 5200m e le moto a carburatori, ormai con i filtri sporchi arrancano, la XT più di 50 allora non fa e anche la mia Transalp 600 con carburazione originale e un filtro che ormai non ne vuole sapere di pulirsi, non va molto di più.
Lo spettacolo prosegue, la laguna Verde è dominata dal vulcano Licancabur coi suoi 6000 metri, significativo che la valle sia intitolata a Salvador Dalì.
Alla piccola dogana la moto di Andrea rimette le gomme a terra, salutiamo e ringraziamo Anacleto e le nostre guide, li aspettano due giorni di duro viaggio mentre per noi pochi km di sterrato e poi l’asfalto e la speranza che la moto di Andrea su quel terreno sia più guidabile. Infatti così è, una discesa infinita ci porta in Cile dove ci disinfettano scarpe e gomme, riportandoci di colpo nella realtà, il sogno è finito.
Siamo arrivati con un giorno d’anticipo, a San Pedro de Atacama decidiamo di goderci un po’ di relax e alloggiamo in un bel albergo. La cittadina è piacevole ma estremamente finta, non tanto per le costruzioni ma per l’ambiente pieno di fast food e localini americaneggianti e poi basti pensare che le strade sono ancora tutte sterrate non per necessità o mancanza di fondi ma solo per non rovinare l’ambiente.
La zona invece è molto bella, il “deserto de atacama” è uno scherzo della natura, mai visto nulla di più vario: rocce dalle forme e colori irreali, alte dune di sabbia in mezzo a valli rocciose prendono i nomi più strani e sullo sfondo le altissime vette boliviane che viste da li, 3000 metri più in basso, acquistano tutta la loro imponenza.
Ripartiamo in direzione Santiago, Andrea è riuscito a far sistemare al meglio la moto ma in Italia sarà “un bagno di sangue”. Viaggiamo sulla Panamericana per un paio di giorni in ambienti insignificanti, o almeno così ci appaiono dopo quanto abbiamo visto. Nonostante l’asfalto perfetto riesco a forare in un tratto autostradale, incredibile dopo quanto abbiamo passato.
Finalmente siamo a Santiago del Cile, il clima torna ad essere grigio e uggioso, ci rallegra solo la visita inaspettata di Adriano e Rosana, conosciuti sulla Lissta che dall’Argentina si fanno un passo completamente innevato per venirci a trovare e le belle cenette alla “Vaca Gorda” (letteralmente mucca grassa) un delizioso localino dove mangiamo squisita carne alle griglia inondata da sublime Cabernet Sauvignon. Le moto tornano nei container, stavolta senza torba, ben ancorate da efficientissimi spedizionieri, e si... il Cile è un paese evoluto, nulla a che vedere con Perù e Bolivia, qui sembra di stare nell’Italia di qualche anno fa, ma non per questo mi sento a casa, anzi... con un certo sollievo l’aereo lascia la terra americana puntuale, solo una tappa eccessivamente lunga a Madrid rende il viaggio eccessivamente noioso, già ci mancano le nostre moto, la libertà che ci hanno dato e quanto ci hanno permesso di vedere.
Potrei aver sbagliato qualche luogo o non messo nel giusto ordine gli eventi, poco importa, spero solo di avervi trasmesso almeno una parte delle emozioni provate e messo addosso la voglia di partire.
Paolo
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