Croazia Luca Boaellis

Autore: Luca Boellis alias 'Der Sterber'

Periodo: 5 – 19 agosto 2004

Partecipanti: Luca Boellis e Annalisa Masi su Honda Transalp XL650V 2004


Ho messo piede a casa da circa quattro ore, dopo quindici giorni trascorsi a zonzo per la Croazia con Annalisa e Luna, ed ora che ho acceso l’ennesima sigaretta della giornata, concedendomi una pausa dall’estenuante lavoro di disfare i bagagli, mi sono sorpreso a fissare il posacenere di marmo di Brac; che mi ha indotto a rivivere alcuni episodi della nostra stupenda vacanza itinerante, appena conclusasi.


A dire il vero non ero troppo sicuro del buon esito del nostro Hrvatska Tour 2004: a differenza dell’anno scorso (Cicilia Tour 2003, fatto a bordo di Lucrezia, il nostro vecchio KLE 500), Annalisa ed io abbiamo prenotato solo la nave di andata (da Ancona a Zadar) e quella di ritorno (Dubrovnic/Bari). Null’altro. Persino l’itinerario era stato tracciato solo per grandi linee.
Certo, la partenza è stata preceduta dai soliti preparativi (acquisto e dettagliata consultazione di costose quanto inutili guide turistiche – sconsiglio vivamente quella della Mondadori – preparazione della carta stradale, inventario delle cose da portare e di quelle da evitare assolutamente ecc.) ma lo spirito (almeno il mio) era nettamente diverso rispetto all’anno scorso.
Le previsioni del tempo per la settimana dal 5 agosto, oltretutto, non erano per niente incoraggianti.
Per tale ultimo motivo, Annalisa ed io decidiamo di anticipare l’orario della partenza e così, caricata Luna sino all’inverosimile con bauletto Maxia (nel quale abbiamo pressato anche DUE paia di pinne), coppia di borse morbide Givi T421 eccellentemente supportate dagli appositi telaietti, sempre Givi, che Red Toro, con stoica pazienza, mi aveva aiutato a montare qualche settimana prima, e borsa da serbatoio piena di cibarie (ma non solo!), verso le dieci del mattino del cinque agosto sono sotto casa della mia amata ad aspettare che si decida a scendere (in realtà lei, non avendo gli stivali da moto, era GIA’ scesa per procurarsi un paio di scarponi impermeabili della TucanoUrbano. Ottima idea, viste le previsioni: ammacchiamo i panini e facciamo entrare anche loro nella borsa da serbatoio…).
Il viaggio sino ad Ancona è stato molto tranquillo, eccezion fatta per i minacciosi nuvoloni neri che ci hanno inseguito (senza raggiungerci) lungo tutto il percorso.
L’itinerario scelto è molto suggestivo: autostrada fino a Caianello, poi verso Pescara attraversando Roccaraso e parte dell’adiacente Parco Nazionale D’Abruzzo. Sosta pranzo a Sulmona e poi, prendendo di nuovo l’autostrada all’altezza di Chieti, dritto filato fino ad Ancona con un’unica sosta per la benza.
Giunti ad Ancona abbiamo avuto appena il tempo di fare un giro fino alla bellissima cattedrale: i nuvoloni ci hanno scovati! Fuga verso il porto dove nutriti gruppi di motociclanti (invero non troppo cordiali!) erano già in attesa di imbarcarsi per le più svariate destinazioni; alla fine riusciamo ad attaccare bottone con una coppia a bordo di una Hornet 600 ed un’altra a bordo di una SV 650 che come noi erano diretti a Zadar, senza però avere in programma di sostare lì. 
Pazienza.
Il traghetto era molto decoroso e, con i ragazzi della SV, riusciamo a scovare un posto decente per passare la notte (in realtà io ho ceduto la mia porzione di divanetto ad Annalisa ed ho optato per dormire sul pavimento, frapponendo tra me e la moquette il telo da mare che avevo provvidenzialmente messo nella borsa da serbatoio).
La traversata è stata abbastanza tranquilla, eccezion fatta per un delizioso bambinetto che si divertiva da matti a strepitare appena riuscivamo ad assopirci e per un tizio che, addormentatosi, russava in un modo pazzesco. Sembrava un motosega!!!!
Sbarcati a Zadar (o Zara, che dir si voglia: c’est la meme chose) e superata la dogana (nulla di particolare: controllo veloce di carta d’identità e targa della moto), usciamo dal porto imbattendoci in un vecchietto grassoccio dai capelli bianchi e dallo sguardo rassicurante che teneva tra le mani un cartello con su scritto “Sobe, Zimmer, Apartmani”. Subito fiuto l’affare e lo interpello a proposito della qualità e del costo dell’alloggio che offre: “io avere bella stanza con bagno. Per motore (in Croazia le moto sono tutte “motore”) avere garage chiuso. Volere voi vedere, si? Costare poco: 40 Euro per notte”. Al mio cenno di assenso lui ci indica il suo Golf bianco parcheggiato poco distante, facendoci capire di aspettarlo lì qualche minuto, giusto il tempo di piazzare qualche altro apartmani.
Il Golf era parcheggiato a sinistra dell’uscita del porto, dove io non potevo andare a causa di un bel divieto d’accesso. Allora decido di imboccare una stradetta di fronte a me che, presumevo, mi avrebbe permesso di raggiungere l’auto del tizio senza commettere infrazioni. In realtà la stradetta portava dritta dritta in una specie di villa Comunale nella quale, inutile dirlo, il traffico veicolare era assolutamente VIETATISSIMO. Scartata l’idea di “girare il cavallo”, decido di passare pei vialetti che dividono le aiuole di questo giardinetto tanto, penso, alle sei e trenta del mattino, chi mi vede?. Ad un tratto Annalisa, dall’interfono, con una voce tra il terrorizzato e lo scoraggiato, mi annuncia: “Luca, c’è un poliziotto che viene verso di noi!” Urka!! Che faccio??? Torno indietro e gli vado incontro scusandomi per l’accaduto?? Mi fermo e faccio l’indiano chiedendogli come fare per raggiungere la famigerata automobilina che distava non più di venti metri da noi? Nessuna delle due: ingrano la prima e, zigzagando lentamente tra le aiuole (cogliendo l’occasione per fare anche un po’ di sterrato!) in modo da evitare la traiettoria del poliziotto che, con repentini cambi di direzione, cercava di pararsi davanti a Luna, raggiungo la agognata meta, mi sfilo il casco ed assumo la tipica espressione del turista coglione che non si è reso conto di essersi meritato il rito dello “straccio in faccia” della patente. 
Quell’agente deve avere avuto pietà: si è visto sconfitto ed è rimasto a fissarci per un po’ dal margine del giardinetto violato per ultimo dalle ruote della mia TA!!!
Nel Golf erano stipati altri due turisti italiani che parevano abbastanza storditi ed impauriti, ma era solo una fallace impressione. Ciononostante, da allora, il vecchietto grassoccio si è meritato il nomignolo di “Pacciani”.
La stanza era decente: grandicella, con parquet, finestra e bagno. Alla fine abbiamo spuntato cento Eurozzi per tre notti. In due. Mica male. E poi il garage c’era davvero!
Se vi può essere utile, il vero nome del nostro Pacciani è Andelka Franov, Kaljska ulica br. 9, ZADAR, tel 023/317394 (casa) – 099/534290 (cell.).
La mattinata la trascorriamo ad esplorare a piedi il litorale di Zadar (non malaccio) senza però poter fare il bagno: i nuvoloni ci hanno trovati di nuovo!!
Nel pomeriggio giro del centro storico di Zadar (c’è da vedere abbastanza)

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e la sera dignitosa cena a base di pesce al ristorante consigliato dalla guida Mondadori: non male il cibo, non male il conto. Il giorno sette decidiamo di spingerci all’interno, fino al parco nazionale di Plitvika: circa 150 km da Zara.
L’itinerario è semplice: c’è l’autostrada, uscita UMAG (o qualcosa di molto simile) e poi sempre dritto.
Prima di imboccare l’autostrada (nuovissima, bellissima e sorvegliatissima: occhio alla manetta!) si attraversano vari paeselli composti da una – max tre case. L’aspetto è di estrema povertà.
Il tragitto è molto bello: si sale in quota e poi si attraversa un tunnel lungo circa sei Km che porta sull’altro versante delle montagne, dove il clima è decisamente alpino. Noi abbiamo imboccato il tunnel (con jeans, t-shirt e giubbotti estivi smanicati) che il tempo era bello e la temperatura di circa 25° e ne siamo sbucati a 12° con una nebbia che non si vedeva a cinquanta metri!!!!
Meno male che più avanti il tempo è ridiventato estivo.
Possibilità di affrontare begli sterrati ai margini della strada (come mi son divertito!!!!).
Il parco è molto bello: comprende circa sedici laghi comunicanti tra di loro con varie cascate e cascatelle. Si impiegano circa sei ore a percorrerlo tutto, ma ne vale la pena. Solo, badate di andarci vestiti leggeri e, soprattutto, senza giubbotti e caschi: diventerebbe un calvario!!! 

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La via del ritorno da Plitvika a Zara la abbiamo fatta sotto un violento temporale in occasione del quale abbiamo maledetto gli scarponcini antipioggia di Annalisa che non avevamo con noi ed abbiamo imparato che in quel tratto le strade, almeno fino all’autostrada, hanno la cattiva abitudine di ALLAGARSI!!!
Orc, che acqua! 
In serata cena veloce e poi a nanna. 
Il giorno successivo cediamo alla tentazione di regalarci una crociera alle Kornati su un barcone tipo “tutto compreso”, dalla colazione al pranzo.
L’esperienza è stata devastante, per cui mi limiterò ad elencare i dettagli che Sconsiglieranno all’attento lettore di questo report di ripetere l’avventura a sue spese.
Partenza alle otto e trenta del mattino dal porto di Zara su barcone modello “Albania” sul quale erano riusciti a stipare circa trecento persone ordinatamente sedute attorno a tavolini da sei, disposte per nazionalità “così potere parlare tra voi”.
Alle nove e quindici circa viene servita la prima colazione, consistente in fichi secchi che sembravano (solo d’aspetto però) cacche stitiche di mucca nana, accompagnate da un gustoso bicchierino di GRAPPA (caffellatte no, eh?).
Alle undici circa spuntino di mezza mattinata: due fette di pane con una specie di prosciutto cotto ed una fettina di formaggio in mezzo. Mica male.
Alle tredici pranzo a base di sgombro (abbastanza grosso, ma il singolare non è usato a caso) e fettina di carne, entrambe alla brace. Bevande a volontà, ma solo vino acido che sembrava piscio ed aranciata annacquata spillata da taniche di plastica da 25 litri (caffè, coca e qualcos’altro solo a pagamento).
Alle tredici e trenta (quindi subito dopo il pranzo consumato in balìa dei flutti) approdo su un’isoletta desertica per sosta/bagno di un’ora e venti – tempi tassativi – insieme a trecento estranei su una rovente spiaggetta, per poi affrontare altre QUATTRO ore di navigazione alla volta di Zara.
Le Cornati sono molto suggestive, quasi impressionanti per la loro desolante deserticità; sarebbe stato bello fare il bagno nelle loro numerose, bellissime, calette che noi abbiamo potuto ammirare, purtroppo, solo da lontano.
Se nonostante la pubblicità che ho fatto a simili gite, trovandovi da quelle parti, deciderete di provare una simile esperienza, non dimenticate il telo da bagno: esso è INDISPENSABILE per ripararvi dal vento che spazza il barcone durante la navigazione (facendovi cascare addosso fichi, grappa, piattini del pranzo e quant’altro occupi i tavolini, brocche colme di pisc… cioè vino ed aranciata comprese).
Noi sembravamo tanti messicani avvolti nei nostri variopinti mantelli; mancavano solo i sombreros.
Alle diciannove finalmente sbarchiamo, ma i nuvoloni ci hanno scoperto ancora una volta: le pinne che tanto ci hanno fatto penare durante la preparazione dei bagagli, e che avevamo portato con noi nella speranza di esplorare chissà quali fondali, tornano utili perché usate a mò di ombrello.
Cena a base di pizza e birra (circa dieci Euro in due) sotto un tendone che ci ha fortunosamente riparati da un signor temporale, consumata in compagnia di due ragazzi toscani che avevano girato tutto l’est europeo in furgone, e poi subito a dormire con nelle orecchie ancora il frastuono della musica croata che, diffusa a tutto volume sul barcone, è riuscita a turbare persino il nostro sonno…
Il giorno nove agosto prepariamo i bagagli (maledette pinne!!!), carichiamo la moto e, declinato l’invito del buon Pacciani a trascorrere qualche altro giorno a Zara, riprendiamo il nostro viaggio dirigendoci verso sud. Appena usciti dal centro di Zara ci rendiamo conto che la costa riserva piacevolissime sorprese: a parte il manto stradale che invita a pieghe ben più ardite di quelle che il nostro poderoso bagaglio avrebbe consentito, scopriamo una infinità di calette che, raggiungibili facilmente dalla strada, offrono ai fortunati vacanzieri che ivi soggiornano stupendi e rilassanti bagni di mare in un’acqua davvero cristallina.
Decidiamo di fare una tappa a Sibenik per raggiungere la quale abbiamo attraversato un ponte che sovrasta il fiume Krka esattamente nel punto in cui esso sfocia nel mare: uno spettacolo MOZZAFIATO!!!
A Sibenik non so quale santo ci ha salvati da una disastrosa caduta: complice il traffico quasi cittadino che lì abbiamo trovato e la mia voglia di fare lo splendido tra gli autoimbarattolati, la ruota anteriore (mentre eseguivo lo slalom tra le auto ferme) ha perso aderenza. E’ stato per puro miracolo che io abbia lasciato andare la leva del freno anteriore giusto un millisecondo prima del punto di non ritorno: eravamo praticamente a terra, ma la moto, ribadisco MIRACOLOSAMENTE, si è raddrizzata da sola. 
Fiùùùùù, per un pelino…
A Sibenik abbiamo fatto una rapida sosta per qualche foto e la visita della cattedrale (molto bella!!) e poi abbiamo ripreso il nostro viaggio alla volta di Spalato.
Lungo il percorso abbiamo avuto la possibilità di ammirare, seppur solo da lontano, la splendida Trogir, che un tempo era un’isola ma che ora è attaccata alla terraferma da un terrapieno artificiale.
Giunti a Spalato parcheggiamo la moto sotto il porticato di un grande magazzino (per evitare che i bagagli si bagnassero in caso di pioggia: i nuvoloni continuavano ad inseguirci) e ci addentriamo nel centro storico.
Lo spettacolo che si apre all’ignaro mototurista è davvero particolare: la città è stata costruita praticamente a ridosso e, soprattutto, all’INTERNO di un enorme palazzo di epoca romana, il palazzo di Diocleziano, appunto.
E’ stato davvero strano notare palazzi e palazzotti vari letteralmente appoggiati a mura ed edifici di epoca romana perfettamente conservati.
La pausa pranzo la trascorriamo in un Mc Donald (che, come tutto il resto, si è rivelato MOOOOLTO più economico di quelli nostrani, pur offrendo gli stessi identici mattoni spacciati per panini) per poi proseguire ancora verso sud, direzione Makarska.
Inutile cantare le lodi di questo tratto di strada, praticamente scavata sul fianco di una montagna a strapiombo sul mare: forse ancora più suggestiva della Costiera Amalfitana 

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E con ciò ho detto tutto!!
A Makarska trascorriamo un paio di ore per poi imbarcarci per l’isola di Brac;.
Sbarchiamo a Sumartin verso le otto di sera con poca benzina e decidiamo di cercare una sistemazione a Bol, il centro più noto di tutta l’isola, distante circa 30 km.
L’isola di Brac; ha la medesima morfologia dell’adiacente tratto di costa: vette molto alte (sul fianco delle quali sono state scavate le strade) e rocciose, ricoperte da una rada vegetazione che conferisce loro un colore giallastro ed un aspetto assai desolato.
Anche stavolta la strada è divertentissima, ma io non apprezzo molto: sono stanco, memore del miracolo della mattina e preoccupato per la benzina. Oltretutto cominciava a far buio e la strada, manco a dirlo, era avvolta da una fitta oscurità.
Arriviamo a Bol verso le nove ed io esulto alla vista del benzinaio il quale, scuotendo il capo, alla nostra domanda risponde che lì non c’è un buco per dormire manco a scavarselo con le proprie mani. Dopo aver fatto il pieno gli auguro la buona sera in croato e lo mando a fanculo in napoletano…
Tuttavia aveva ragione: giriamo casa per casa per circa un’ora, sudati, affamati, stanchi, puzzolenti, assonnati, assetati ed incazzati (almeno io) e tutti ci dicono che non c’è posto. Alla fine (circa alle dieci di sera) troviamo una tizia che ha da offrirci una stanza (l’ultima libera), ma solo per una notte, per 400 cune (più o meno 60 Euro).
Io rifiuto subito, considerandolo un ricatto bello e buono ma Annalisa, più paziente e, forse, più saggia, le chiede di aspettarci qualche minuto.
Scartata la mia proposta di dormire per strada, riprendiamo il giro bussando porta per porta, ma non troviamo nulla.
Torniamo dalla tizia (che troviamo intenta a spiegare a due teteski che stava aspettando due persone – cioè noi – che erano arrivate prima di loro) e prendiamo la stanza.
Scarichiamo velocemente la moto, doccia e via a cenare in un ristorantino vicino al corso principale.
Bol è molto bella e molto chic. Piena di turisti provenienti da tutta l’Europa che lì trascorrono le proprie ferie.
Tanta gente, ma senza confusione; tutti parlavano a voce moderata, passeggiando per il corso principale che si affaccia direttamente sul mare mentre i numerosi baretti illuminavano i passanti con le loro discrete luci, diffondendo nell’aria deliziosi profumini e delicate melodie.
Mentre Annalisa ed io osserviamo ammirati la bella gente che ci sfilava davanti (tutti in tiro: uomini abbronzatissimi e belle donne bionde, alte e slanciate da sembrare fotomodelle), un grido straziante ha lacerato l’aere, facendoci gelare il sangue nelle vene: “CARMELAAAAAA, MALLANEMA ‘E CHI TE MMUORTO, JETTA ‘O SANGHE A BBENI’ CCA’”. Era una famiglia campana che, perso di vista qualche suo componente, cercava di ricomporsi.
La mia dolce metà ed io chiniamo mestamente il capo e ci avviamo, abbastanza delusi, verso la nostra motina, per andare a dormire.
La mattina successiva ci svegliamo alle sette grazie alla sveglia programmata la sera prima: ci precipitiamo in spiaggia per vedere il famigerato “corno d’oro” di Bol: una lingua di spiaggia sassosa che dalla costa arriva in mezzo al mare e la cui punta cambia direzione e forma a seconda delle maree. Alle otto meno un quarto (spiaggia desertissima. Chissà perché?) ci concediamo un bagno PARADISIACO e poi schizziamo all’agenzia turistica avvistata la sera prima: il tempismo era indispensabile. Avevamo qualche speranza di trovare una sistemazione per le prossime notti solo a patto di andare all’agenzia appena questa apriva e, se ci andava male, solo in questo modo avremmo avuto tutto il tempo per spostarci altrove e riprendere la ricerca di una sistemazione il prima possibile.
Stavolta siamo fortunati: la tizia dell’agenzia ci trova una bella camera a trecento cune. 
Torniamo dalla tale che ci ha ospitato la notte precedente, la paghiamo, carichiamo la moto alla meno peggio, ed andiamo a prendere possesso del nuovo alloggio.
Degno di menzione e di imperitura memoria è il fortunoso abbigliamento da me adottato durante la trasferta: tornavamo dalla spiaggia, e quindi ero in costume, t-shirt e sandaletti da mare. Per fare in fretta, su questa tenuta ho abbinato un bel giubbottone da moto compreso di protezioni, nonchè casco integrale con paranaso. Gli stivali da moto li ho appesi al bauletto (lasciato aperto per risparmiare il tempo necessario a mettere a posto le dannatissime pinne, che sbucavano da tutte le parti), dove sono rimasti a ciondolare durante tutto il percorso.
Beh, comunque ci siamo arrivati sani, salvi e soddisfatti.
La stanza era molto bella, senza bagno in camera ma con uno spazioso terrazzino. La tenutaria estremamente gentile e garbata.
Se può essere utile a qualcuno, lei si chiama Miladineo Perica, Marca Maculi, 20, Bol, O. Brac;, tel. 021-635213, cell. 091 5182179.
Siamo rimasti a Bol altre due notti, godendoci gli splendidi panorami ed il superbo mare dell’isola più chic della Dalmazia.
Il dodici agosto, memori delle difficoltà precedentemente incontrate nel trovare alloggio, ci svegliamo nuovamente alle sette e, ripercorso a ritroso il tragitto fatto tre giorni prima, sbarchiamo nuovamente a Makarska (delizioso centro turistico), diretti a Drvenik, proprio di fronte all’isola di Hvar.
Sbarcati a Sucuraj dopo aver percorso il breve tratto di mare che separa l’isola dalla costa, ci accingiamo a raggiungere il centro di Hvar, situato all’altro capo dell’isola, a circa 80 km di distanza.
MINCHIA che strada: fondo sconnesso, asfalto scivoloso, carreggiata strettissima a doppio senso di marcia con un pericolosissimo strapiombo di lato, priva di guard rail o protezioni di sorta ed irta di curve stette e tornantini minacciosi.
Ogni tanto si intravedevano carcasse di macchine finite fuori strada e mai recuperate…
Anche qui il paesaggio, comunque, è degno di nota: i rilievi sono meno alti di quelli dell’isola di Brac;, ma comunque bellissimi e molto suggestivi. La cosa più particolare, però, è rappresentata dall’intenso profumo di lavanda che investe il motociclante ad ogni colpo di vento. 
Una sensazione unica!!! 
Avvicinandosi al paese di Hvar la strada migliora, e di molto anche. Asfalto ottimo, bei curvoni da percorrere allegramente e continui saliscendi che, talvolta, accompagnano il mototurista in suggestivi canyons scavati nella roccia.
Insomma, un paesaggio mai visto prima! 
Il centro del paese è molto bello, ma anche molto affollato, soprattutto di italiani. 

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Campani e Pugliesi in particolare.
Come ovvio, anche stavolta trovare una sistemazione è stata un’impresa!
Alla fine (dopo che Annalisa si è girata quasi tutte le case del paese) il sottoscritto è riuscito a procacciare una bella (ma un po’ calda) stanza con bagno e balcone con vista sul mare, lasciata sfitta da alcuni italiani che, rottisi le palle di stare a Hvar dopo due settimane, avevano anticipato la partenza andando via proprio quella mattina. 
Che botta di mazzo!!!!! 
Il prezzo?
Due notti, due persone, cento Euro.
Il mare vicino al centro non era un granchè, e così decidiamo di prendere Luna per trovare un posto dove fare il bagno che ci andasse più a genio.

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Gira che ti gira troviamo un bel tratto di scogliera che fa proprio al caso nostro: il tempo di parcheggiare la motina e poi… SPLASHHH, dritti dritti in acqua a goderci un po’ di refrigerio.
Adiacente a questa scogliera, dopo un breve tratto di strada ciottolata, avvisto un ristorantino in riva al mare che, a colpo d’occhio, mi pare niente male.
Avevo avuto ragione: pesce freschissimo e cucinato ad arte per pochi soldi. Con in più il privilegio di romanticamente pasteggiare in santa pace (non era raggiungibile a piedi perché lontano dal centro, né in macchina, perché, evidentemente, il ciottolato da percorrere completamente al buio spaventava gli autofrustrati) in riva al mare, godendosi lo sciacquettio delle onde sulla scogliera… un sogno! 
Abbiamo finito per cenare lì tutte e due le sere.
Il giorno successivo al nostro arrivo decidiamo di dedicarlo all’esplorazione dell’isola.
La prima mattinata la trascorriamo al mare: abbiamo avuto la fortuna di scovare una caletta praticamente deserta, eccezion fatta per un gruppo di ragazzi che avevano trascorso lì la notte. Con il trascorrere delle ore il tempo si rabbuia e così optiamo per un giro all’interno. Le strade dell’isola di Hvar le ho già descritte quindi immaginate voi il sollazzo che ho provato nel guidare su di esse. Ci spingiamo sul monte che sovrasta il paese di Hvar, ove è costruito un antico forte che, secondo le credenze popolari, sarebbe abitato dai fantasmi… bah! Paghiamo un modesto biglietto d’ingresso e, oltre ad ammirare il panorama dall’alto e a scattare alcune foto a cavalcioni dei cannoni del forte, ci concediamo un rinfrescante Pivo in un baretto sito all’interno del baluardo. 
Il “Pivo” non è altro che la nostra “birretta”, con l’unica differenza che lì in Croazia la bevono al posto dell’acqua. Ed in effetti, in proporzione, la birra (ottima la Carlovacko) costa meno dell’acqua! Strano paese!! 
Decidiamo di ritornare alla nostra caletta deserta, che però scopriamo essersi nel frattempo alquanto affollata. Vabbè, pazienza: ci accontentiamo.
La mattina fissata per la partenza ho un brusco risveglio: verso le sei del mattino scoppia un violentissimo temporale. Noi avevamo i teli del mare ed alcune magliette stese fuori ad asciugare ed Annalisa (ormai perfettamente immedesimatasi nel ruolo di premurosa madre di famiglia) pensa bene di uscire a ritirarli. Tutto normale, sin qui. Solo che la mia dolce compagna, per uscire fuori del balcone, pensa bene di sbattere energicamente tutti gli infissi e le tapparelle della stanza. Credo che sul soffitto della medesima si possa ancora intravedere la mia sagoma, per quanto in alto io sia saltato.
Il calvario continua con la ferale notizia dello smarrimento di un telo da mare, finito chissà dove (ma poi ritrovato).
Scartata la mia sonnolenta proposta di partire immediatamente (cioè sotto la pioggia) per timore che il tempo peggiorasse ulteriormente, alla fine ci avviamo verso le otto, con un bel sole che splendeva alto nel cielo e che aveva già asciugato tutte le strade.
Raggiungiamo di nuovo il porto di Sucuraj dal quale sbarchiamo sulla costa nuovamente a Drvenik: prossima tappa isola di Corčula. 
Da Drvenik procediamo verso sud raggiungendo la vicina Ploče da dove ci imbarchiamo alla volta di Trpanj; da Trpanj raggiungiamo via terra Orebič da dove ci reimbarchiamo per Corčula. L’itinerario seguito è un po’ tortuoso, ma abbiamo optato per questa scelta al fine di percorrere tutte le strade che sulle nostre “mappine” erano indicate come panoramiche. 
E vi posso assicurare che ne è valsa la pena.
Corčula è l’isola con i rilievi più bassi tra quelle da noi visitate, eppure raggiunge altitudini considerevoli; l’unica differenza che si nota subito è il clima: tipico di un’isola mediterranea. Chi è stato alle Egadi può capirmi: sole cocente, niente ombra e venticello fresco ma traditore perché non consente di rendersi conto della imminente scottatura di sole.
L’ambiente è molto tranquillo, nettamente meno sviluppato, e sfruttato, turisticamente delle altre due isole ma tuttavia non disorganizzato.
Troviamo alloggio senza particolari difficoltà a poca distanza dal centro in casa di contadini (?) che parlano poco l’italiano; tuttavia riusciamo ad intrattenere conversazioni abbastanza articolate grazie alla nostra reciproca buona volontà.
Il paese di Corčula è davvero molto grazioso: si affaccia direttamente sul porto, inerpicandosi su una collina sovrastata da una magnifica cattedrale. Ci sono tantissimi palazzi e costruzioni in stile vagamente Venezieggiante, comunque molto antichi. Numerose sono le torri di avvistamento orientate verso il mare che spiccano tra stretti vicoletti i quali si intersecano tra di loro ad angolo retto, al fine di spezzare la bora ed il Maestrale che ivi spirano di sovente. 

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Dopo esserci sistemati decidiamo di scendere in paese per comprare un po’ di succo di frutta (un vero elisir il Cappy ed il Juicy, soprattutto ai ribes) ed una pianta dell’isola, che paghiamo abbastanza cara: circa cinque Euro.
Trovata una panchina all’ombra, Annalisa spiega la cartina… e una folata di vento gliela strappa immediatamente di mano, buttandola direttamente a mare!!! 

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Deve essere stato un curioso spettacolo vedere un uomo che reggeva una donna per le caviglie mentre questa, completamente sporta da un pontile, cercava di raccogliere un pezzo di carta che galleggiava sull’acqua…
Asciugata la cartina al sole, programmiamo l’itinerario per i giorni seguenti.
La sera nulla di particolare: pizza e birra e poi a nanna. 
La mattina successiva decidiamo di andare al mare in una cala raggiungibile tramite una strada non asfaltata.
Il tragitto è stato davvero suggestivo e divertente, e non nascondo di essermi trovato più d’una volta in difficoltà nel percorrere ripide mulattiere coperte di aguzzi sassi bianchi ma, come speravo, alla fine ne è valsa ancora una volta la pena. Abbiamo avuto il privilegio di esserci fatti il bagno in una vera e propria “Laguna Blu” ricoperta di ciottoli, bella, ampia e praticamente deserta.
Ahhh!!! 
Nel pomeriggio esploriamo un po’ l’interno dell’isola e la sera, di nuovo, pizza e birra essendoci concessi un pranzo al ristorante verso l’una e mezza.
La mattina del 16 agosto decidiamo di avventurarci verso un’altra caletta che, stando alla cartina, doveva essere ancor più impegnativa da raggiungere di quella del giorno prima.
Non so quanti km abbiamo percorso su sentieri impossibili, disseminati di massi taglienti di tutte le misure, ma di mare neanche l’ombra. O meglio, ce l’avevamo sempre davanti, ma non riuscivamo mai ad imboccare il sentiero giusto.
Quando, persa la pazienza, stavo per fare coriandoli della cartina, sbuca da un cespuglio un tizio che, evidentemente molto sorpreso di vederci, ci fa capire che avevamo sbagliato strada: eravamo su un sentiero non segnato dalla mappa, in un posto IMPOSSIBILE DA RAGGIUNGERE (a suo dire ).
In Inglese ci dice chiaramente che è meglio tornare indietro perché il sentiero imboccato, oltre ad essere pericolosissimo, non porta da nessuna parte.
Alla fine, dopo tanto chiedere, riusciamo ad arrivare dove volevamo andare e vi troviamo poca gente ed un’acqua cristallina. 

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Visto che ce n’erano in abbondanza, uso il cacciavite del kit degli attrezzi di Luna per fare una bella bustona piena di ricci che poi Annalisa ed io ci pappiamo in riva al mare. 
Niente male.
In serata andiamo a cena fuori, in adiacenza del porto, ma non mangiamo un granchè bene, e poi abbiamo un sonno da impazzire.
Il 17 agosto, dopo aver pagato i nostri ospiti (Antun Borovina, Put Sv. Antuna 86/8, Korčula – tel. 715226), raggiungiamo in traghetto Orebič dal quale proseguiamo via terra fino a Dubrovnik, passando per Ston.
Di Ston non ho fotografie, ma credo che non la dimenticherò mai più: una cittadella medievale vera e propria, arroccata sul fianco di un monte, perfettamente conservata, con tanto di cinta muraria e castello. Semplicemente BELLISSIMA!!!!
Dopo una brevissima fotososta in prossimità del ponte di Dubrovnik (recentemente ricostruito dopo gli eventi bellici degli ultimi anni) 

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ci avviamo verso il centro, imbattendoci lungo il cammino in “Pacciani 2”: un altro ometto che reggeva il ben noto cartello. Offre “camara” doppia a 55 Euro per notte, con garage privato per motore. Ci accordiamo per 50 e prendiamo la stanza; doccia e riposino rigenerante. 
Verso le sei del pomeriggio scendiamo a fare un giro al centro; la città è davvero bellissima. A mio avviso merita davvero di essere stata inserita nel patrimonio dell’UNESCO. Descriverla sarebbe davvero riduttivo, e persino le immagini che di essa vengono diffuse non le rendono giustizia: quello che è davvero impressionante è l’atmosfera che pervade le viuzze raccolte nell’abbraccio della cinta muraria della città vecchia.

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Davvero uno spettacolo ed una sensazione emozionanti.
Fattasi ora di cena, cominciamo a dare un’occhiata per scegliere il ristorante dove mangiare. 
Scartati a priori quelli con troppa folla e quelli tipo “mensa sovietica”, approdiamo ad un ristorantino che, a priva vista, non aveva nulla di particolare che colpisse il passante. Veniamo approcciati da una cameriera la quale, mostrato il menu ad Annalisa, ci invita ad entrare dentro.
Ebbene, credo che siamo stati attirati in uno dei ristoranti più eleganti (e cari) di Dubrovnik: l’acqua ed il vino ce li hanno serviti nel classico “cantariello” pieno di ghiaccio; il rito dello stappo della bottiglia di vino è stato eseguito a regola d’arte da un vero e proprio sommelier, di quelli con la conchiglietta appesa al collo. Mi ha mostrato la bottiglia, ha annusato il tappo appena levato, mi ha fatto assaggiare un sorsino e soltanto dopo ha versato nei bicchieri. La cameriera ci riempiva i calici ogni volta che bevevamo un po’; cambio delle posate ad ogni portata, sette-otto posate a testa tra forchette, coltelli e cucchiai… insomma, una figata!
Per non parlare di quello che abbiamo mangiato: ostriche sul ghiaccio (servite nell’apposito piatto insieme a pane caldo sul quale spalmare il burro portatoci a parte), spaghetti alle code di scampi, funghi ripieni di gamberetti, calamari dell’Adriatico serviti alla griglia e fritti, trota fritta con mandorle… tutto SUPERBO, a cominciare dal servizio!
Il costo? Poco più che una pizza e birra nostrani: circa 40 Euro a testa…
La mattina successiva approfittiamo della estrema gentilezza dell’affittacamere (Miro ed Ivan Matič, Gornji Kono 30, Dubrovnik, tel. 020/421895, cell. 098/9352335) lasciandogli i bagagli e scendiamo in città a fare il giro delle mura della città vecchia… semplicemente meraviglioso!!!
Pranziamo in città e poi decidiamo di andare a ritirare i bagagli. La bella nuora di Ivan ci omaggia di una buona porzione di dolce tipico croato (una specie di strudel di mele) “così voi mangiare durante viaggio”, carichiamo Luna e ci andiamo a fare un giro a Cavtat, deliziosa cittadina di mare, ma nulla di eclatante.
Verso le sei del pomeriggio torniamo al porto di Dubrovnik dove aspettiamo di imbarcarci per Bari, scambiando qualche chiacchiera con un gruppo di motociclanti Romani, partiti la mattina da Plitvička. Ci imbarchiamo su un traghetto abbastanza squallido e molto affollato. Fortunatamente noi avevamo prenotato la cabina, sennò…
La giornata termina all’una di notte, quando finalmente, distrutti, riusciamo a comprare qualche stecca di sigarette al Duty Free della sgangherata nave…
Approdiamo al porto di Bari alle otto circa del mattino. La colazione l’abbiamo fatta sulla nave ed il viaggio di ritorno verso Napoli, a parte una sosta verso Avellino per la benza, l’abbiamo fatto tutto d’un fiato.


ALCUNE CONSIDERAZIONI

• I croati sono persone CORDIALISSIME e persino affettuose. Non abbiamo mai avuto problemi di nessun tipo. MAI!
• Le stanze da affittare sono sempre state pulitissime. Talvolta erano di più o meno recente ristrutturazione, ma sempre pulite e con parquet. Molto spesso viene anche messa a disposizione la cucina.
• Le Croate sono BELLISSIME, vere e proprie fotomodelle, e sono molto intraprendenti. Potrei dire di aver visto lavorare più donne che uomini.
• Il mito del nudismo, in Croazia, non l’ho riscontrato. Certo, tante tette al vento, ma molte erano di donne italiane. Abbiamo visto in tutto tre nudisti, ma erano sempre uomini che facevano gli esibizionisti col papagno di fuori su spiagge frequentate da famiglie con bimbi piccoli. Personalmente non approvo.
• Non pensiate di andare in Croazia e di trovarvi in un posto desolato o sottosviluppato. Io abito a Napoli, e l’ordine che ho trovato lì me lo sogno. I Croati sono molto dignitosi ed educati. Mi hanno fatto un’ottima impressione. Le città ed i grandi centri sono molto frequentati, talvolta affollati, ma non c’è mai confusione, se non quella fatta dagli italiani.
• I prezzi sono ancora buoni, equivalenti a quelli che c’erano in Italia fino a qualche anno prima dell’avvento dell’Euro, ma non crediate che lì ci sia miseria. Tutt’altro.
• La benzina lì è solo un poco più economica rispetto all’Italia, e viene venduta con due numeri di ottani: 95 e 98. Sulla terraferma si trovano entrambe, ma sulle isole solo la 95. Comunque non ho avuto problemi con Luna.

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LampLamp a tutti.
Der Sterber