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Viaggiare

Autore: Luca Gagliardi alias Lawyer

Strani avvenimenti stanno alterando il corso della mia vita, rendendomi sempre più difficile il normale proseguire su quel tracciato che ognuno di noi si costruisce con le proprie azioni.

Proprio per deviare da una routine che mi avvelena mandai una mail di conferma a un giro organizzato da persone che assolutamente non conoscevo (a parte l'organizzatore).

Trascorrevano i giorni e il momento di partire mi sembrava sempre più rappresentativo di una rinascita. Solo in un bozzo protettivo mi organizzavo, non lasciando trasparire niente all'esterno.
Ma la nascita si sa non è indolore. Il giorno del viaggio sino a poche ore prima l'avevo immaginato come una via da seguire per ritrovarmi: 600 chilometri con me stesso per valutare quello che ero, quello che avrei voluto essere e quello che forse diventerò.

Ma la mattina di venerdi' 23 ottobre giove pluvio aveva deciso di ricordarsi del mio paese.
Un diluvio aveva bloccato le strade e riempito tutto di fango.
Scoraggiato guardavo la pioggia che riempiva di lacrime i vetri di casa mentre mi preparavo per accompagnare le bambine a scuola. In tutto quel grigiore solo le parole di mia moglie: decidi serenamente, so quanto ci tenevi a partire.
Ma la pioggia aumentava. E con essa il vento. Esco la moto dal garage per provare cosa si vedesse con il casco e sono così bravo da parcheggiare la creatura stesa nel fango facendo rompere un attacco delle valigie laterali.
Demoralizzato ripongo tutto quanto dovevo portarmi in un solo bauletto da montare sulla piastra centrale (salvo uno scatolo con beni di prima sopravvivenza: latticini, fiordilatte e scamorze che lego sul sellone al posto del passeggero) e ritorno in casa.
Il tempo peggiora e avviso Gino (il creatore di Talebani del Tassello) che non sarei più partito. Per rafforzare la mia decisione mando un messaggio sul forum e spengo il pc per non leggere i commenti.

Decido di scaricare la moto quindi ... infilo i pantaloni, la corazza, giubbotto e antipioggia e parto.
Mi muovo a fatica attraverso il fango che invade la strada davanti al mio garage, ma riesco a raggiungere la provinciale in direzione autostrada. Non vedo quasi niente e viaggio piano, conscio degli sguardi degli automobilisti che mi incrociano.
Nella prima curva per immettermi nella strada a pedaggio le gomme mi ricordano di essere nuove (T63 montate la mattina prima) e il cuore mi batte direttamente al posto delle tonsille.
Affronto l'autostrada imponendomi un limite: raggiungo la prima uscita e mi regolo se piove ancora forte o se è pericoloso proseguire mi giro: dieci chilometri poi dodici e l'uscita e superata, la pioggia sembra un po' di meno e quando sono all'altezza di Canosa (30 chilometri) decido di continuare.

Pochi chilometri e la pioggia smette.
Il cielo si tinge di quei colori che solo le nuvole illuminate dal sole possono dare e mi sento da molto tempo un po' più sicuro del mio futuro.
Avviso mia moglie che sono partito e le mando un mms per dimostrarle che non pioveva per davvero.
Riparto perché è già tardi e giustamente ricomincia a piovere.
Vorrei veramente riuscire a descrivere i miei sentimenti nei chilometri che ho percorso rincorrendo la strada fra le gocce che rigavano il casco e la strana sensazione di essermi perso in me stesso quando mi rendevo conto di aver percorso vari chilometri e di aver raggiunto nuovi svincoli e di non essermi accorto del tempo che passava.

Uno sguardo alla lancetta del serbatoio mi dice che è ora di fermarmi: sono ormai ad Avellino. La pioggia si rimpossessa dei miei pensieri. E' talmente forte da fare male nonostante le protezioni da off.
Mi fiondo in una stazione di servizio e cerco di scrollarmi di dosso un po' di acqua.
Il benzinaio mi aiuta facendomi rifornimento e mi chiede dove vado.
Saputa la mia destinazione scuote la testa e mi consiglia di partire subito: viene proprio da quella direzione e si è appena abbattuto un vero diluvio quindi per un po' non pioverà. Mi dimentico anche di mangiare e mi muovo.

Non vedo niente, l'acqua è talmente tanta che mi sembra di annegare; comincio ad avere freddo e paura, quando imbocco una galleria. All'interno mi accorgo che il rumore della pioggia ha coperto il brontolio delle "T" e capisco quanto forte sia stata.
Rallento per far durare il più a lungo possibile la protezione della volta della galleria e quando torno a vedere il cielo rimango abbagliato. C'è il sole. Apro la visiera cercando di assorbire sul volto ogni raggio di luce e accellero. Poco dopo comincio a riscaldarmi tanto da dovermi fermare e togliere l'antiacqua...
Supero una interminabile fila di veicoli fermi chiedendomi cosa fosse successo e mi ritrovo in un capannello di gente che protesta per conservare il proprio posto di lavoro. Mi fermo ad ascoltare le loro ragioni e mi rattristo a storie padri disperati che non sanno come far crescere i propri figli.

Mi sento a disagio pensando a quanto sto spendendo di benzina e altro per un viaggio comunque superfluo.
Alcuni manifestanti mi chiedono dove fossi diretto e mi autorizzano a passare perché non mi raggiunga la pioggia.
Supero il blocco spingendo a mano la moto e poi provo la sensazione incredibile di viaggiare solo in autostrada, per parecchi chilometri.
Ormai il dì volge al desio e finalmente comincio a vedere la fine del viaggio in autostrada; fra le ombre della sera supero Orvieto e sono a Fabro. Sono stanco e molti pensieri sul perché mi sia avventurato in quel viaggio si susseguono.

Dall'illuminazione artificiale della strada a pedaggio al nulla del paesino umbro. Sono le 18,30 piovigina e non c'è anima viva in giro. Anche il supermercato è chiuso. Seguo la via principale salendo sempre più in alto seguendo le indicazioni che ho stampato dal sito fino ad un incrocio che non è segnato.
Sono solo al buio, ho freddo e fame e in lontananza sento ululare (non sto scherzando). Chiamo Gino per sapere dove devo andare. Ottengo le indicazioni fino ad un nuovo incrocio li avrei dovuto richiamare.
Già avrei dovuto: raggiunto l'incrocio dopo dieci chilometri mi accorgo che non c'è campo per il telefono. (la Omnitel da quelle parti è come se non esistesse). Decido di andare avanti per trovare copertura telefonica e dopo alcuni chilometri incontro un'altra moto. Un altro disperso in cerca del casolare che dovrebbe ospitarci.

In due ci facciamo coraggio e raggiungiamo un ingresso del parco nazionale. Ci inoltriamo e capiamo che di certo non può essere lì che ci aspettano.
Un sentiero in discesa e completamente sterrato mi invita a fermarmi, mentre il mio compagno di avventura con una bellissima beta si avventura.
Sono di nuovo solo quando mi si spengono tiutte le luci e subito dopo anche la moto.
Giro la chiave insisto con il pulsante di accensione ma niente.
Dopo un po si riaccende il quadro.
Spingo la moto e sfruttando un po di discesa riesco a riavviarla, ma sono completamente al buio salvo la luce di posizione.
Mi riporto sulla strada asfaltata e comincio a percorrerla sperando che si ricarichi la batteria e mi si riaccendano le luci.
Dopo un po funziona solo l'abbagliante.
Mentre mi giro per tornare al punto di ingresso al parco incrocio una macchina che riconosce gli adesivi sulla fiancata dei Talebani e mi invita a seguirla per raggiungere il casolare.
Alcuni chilometri percorsi al buio dietro la macchina perché anche l'abbagliante smette di funzionare, vedendo solo la porzione di strada che è illuminata dalle luci di posizione del veicolo che mi precede.
Arriviamo ad un altro ingresso del parco e qui è tutto sterrato.
La machhina sobbalza e io non vedo niente.
La lascio allontanare per non ricevere spruzzi di fango e pietrisco e provo di nuovo ad accendere i fari.
Si accendono solo i faretti supplementari. Con quelli riesco a raggiungere il casolare e chi mi aspettava.
Il resto come si dice è storia... solo una cosa la mattina dopo funzionava tutto alla perfezione, la motro è partita al primo colpo e le luci funzionavano tutte.
A scrivere quanto mi è successo dopo alcuni giorni provo una strana sensazione.
Ma sono sicuro che quei chilometri fatti in condizioni avverse mi siano serviti a guardarmi veramente dentro.
Ora devo decidere se quello che ho trovato mi piace, ma sono convinto che nella vit bisogna accorgersi di aver raggiunto uno stato profondo di sofferenza per poter risalire a guardare con rinnovata meraviglia quello che il quotidiano ci porpone: bello o brutto che sia.

Luca Gagliardi