Peloponneso 2005 - Luca Boellis

Autore: Luca Boellis alias 'Der Sterber'

Periodo: 2 – 17 agosto 2005

Partecipanti: Luca Boellis e Annalisa Masi su Honda Transalp XL650V 2004

“Grasso alla catena… OK; liquido refrigerante… OK; olio motore… un po’ troppo, ma va bene così: dato il caldo che farà, un pochino ne consumerò di certo lungo il tragitto; impianto di illuminazione… OK. I bagagli sono fissati per bene; non mi resta che andare a prendere Annalisa e partire, finalmente, alla conquista del Peloponneso o, come dicono da quelle parti, "Peloponnisos”.
Ecco come è cominciata, alle nove del mattino dello scorso due agosto, la motovacanza del 2005 mia, di Annalisa (Autovelox: la mia compagna di vita) e di Luna, la nostra stupenda TA del 2004.
Il traghetto da Brindisi sarebbe salpato alla volta di Patrasso solo alle 19:30 ma, ansioso di cominciare l’avventura tanto a lungo desiderata, alle dieci siamo già in sella.
In circa due ore percorriamo tutta la A16; e qui incontriamo il primo imprevisto.
La Napoli-Candela, infatti, si ricongiunge con la A14; imboccata la corsia di accelerazione in direzione Brindisi, siamo preceduti da una sardomobile che procede spedita. Un’occhiata allo specchietto mi rivela il sopraggiungere di un TIR che proveniva da nord “vabbè, tanto la macchina va abbastanza veloce: ce la facciamo di certo”.
Ebbene, non finisco neppure di formulare questo pensiero che lo stronzone davanti a me che cosa fa??? Inchioda di botto.
Me la sono vista davvero brutta a dover gestire una frenata d’emergenza con la moto carica a quella maniera, e ciò soprattutto perché lo spazio d’arresto mi è parso sinistramente lungo; tant’è che ho dovuto fare un paio di destra-sinistra per guadagnare qualche metro, mentre il TIR mi sorpassava ad una velocità inverosimile riempiendomi le orecchie di un frastuono assordante; contemporaneamente ho visto la borsa laterale sinistra letteralmente schizzare davanti alla moto e, nel suo pazzo rotolare via, si sfasciava miseramente seminando sul selciato mutande e cazettielli: il TIR ci è passato tanto vicini da agganciare la borsa e strapparla via… 
Il conducente della “buatta” si è accorto dell’accaduto ed è sceso per vedere cosa fosse successo mentre il TIR non era già più che una lontana macchia all’orizzonte.
Sinceratomi del fatto che sia io che Annalisa avessimo entrambe le gambe ancora attaccate al tronco, mi sono tolto gli occhiali e mi sono sfilato il casco: è stata la fine per l’autoimbarattolato. Se non fosse scappato via, gli avrei tirato il collo come ad una gallina.
Tirato fuori il prezioso multiuso, ho messo a frutto quanto appreso guardando migliaia di puntate di Mac Giver realizzando un’imbracatura di fortuna per la borsa fracassata (ndr: le borse morbide non possono essere montate se non appaiate, perché si reggono l’una all’altra con delle fasce che passano sulla sella), ed è a questo punto che ho avuto il lampo di genio: “da queste parti abita Cosimo, il professore volante, l’uomo della Torino/Lecce tutta in una volta. Ho segnato i suoi numeri: ora lo chiamo”.
… Tuh… Tuh… Si, pronto????
Non sono mai stato tanto felice che qualcuno mi abbia risposto al telefono.
In pochi minuti il buon professore assicura il suo supporto logistico e, alle 16:30, puntuale e solenne come un ufficiale giudiziario, lo vediamo raggiungerci al porto di Brindisi recando seco un paio di borse fiammanti miracolosamente reperite durante l’orario di chiusura dei negozi… potenza della LissTA!!!
Fatto il travaso del bagaglio (borse vecchie e schiattate/borse nuove), l’evento viene immortalato nella prima foto dell’album del Peloponnisos Discovery 2005 

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La traversata procede tranquilla (intravedo e scambio qualche parola con Pierpegaso ed il suo compagno di merende, che poi non ho più beccato sulla nave), e la mattina successiva sbarchiamo felici e contenti a Patrasso.
Percorriamo un tratto di strada verso est in compagnia di una coppia di francesi conosciuti in nave che, in sella ad uno scooterone (Burgman 250 se non erro), aveva in programma il giro completo della Grecia e, poi, Mosca (!).
Abbandoniamo la bella autostrada che da Patrasso porta fino ad Atene (E65, pedaggio fisso di un Euro per le moto) all’altezza di Diakoftò, per andare in “pellegrinaggio” – dato l’esito dell’avventura del giorno prima – al monastero di Mèga Spìleo.
La strada è molto bella, ma anche molto faticosa: si inerpica sullo scosceso fianco della valle di Vouraikòs 

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fino al monastero, abbarbicato come un nido di rondini su una scoscesa parete rocciosa. E per di più il caldo è davvero INFERNALE!!!
Gran parte della struttura originaria del monastero (in legno, risalente all’840 circa) fu distrutta dai nazisti e poi ricostruita in cemento armato.
Un’occhiata – molto rapida – alle reliquie ed alle immagini sacre ed un’altra – ben più lunga – ai pavoni che i monaci tenevano in una bella gabbia, ed affrontiamo la discesa, facendo tappa ad una “Taberna” incontrata lungo il tragitto per consumare il nostro primo pasto in terra di Grecia.
Verso le 17:00 raggiungiamo Acrocorinto, quella che – sulla carta – doveva essere la prima tappa del viaggio.
In realtà il paesello si rivela abbastanza squallido; ci fermiamo a bere una birra e consultiamo la cartina.
“Dalle foto sulla guida, e dalla descrizione fattane, Nauplia sembra un centro abbastanza grazioso”, esordisce la mia compagna d’avventura dopo un’attenta lettura della mappa.
Decidiamo così di percorrere l’ottantina di chilometri che ci separano da quello che si è rivelato essere un vivace centro turistico.
Troviamo un albergo decente (la carta igienica si può buttare nel vaso) e fissiamo una camera per tre notti; dopo una bella doccia, andiamo a gustare le famose “pitas”, perdendoci poi nei tanti localetti che costeggiano le belle viuzze del centro storico, sormontato dall’imponente castello che veglia dall’alto.
Il giorno successivo al nostro arrivo a Nauplia, dopo aver trascorso la mattinata al mare, decidiamo di dedicare il pomeriggio all’esplorazione della penisola argolica.
Passando per Ligouriò arriviamo sino alla piccola, ma graziosa, Portochèli dove assistiamo in prima fila ad uno spettacolare tramonto.
Le strade dell’Argolide sono buone ma, caratteristica comune all’intero territorio del Peloponneso, appena ci si allontana di pochi Km dalla costa si finisce col fare i conti con impegnative strade di aspra montagna che, se di giorno divertono da morire, di notte – e senza la benché minima illuminazione – invitano ad una guida molto prudente.
Sarebbero stati molto utili i faretti supplementari che ho spesso visto montati sui paracarene delle TA.
Sovente la carreggiata è costeggiata da ampi spiazzi di terra battuta dai margini dei quali è possibile godere un panorama mozzafiato sulle sottostanti vallate.
Lungo la via del ritorno, facciamo tappa a Ligouriò per cenare in una tranquilla Taberna di campagna, dove assaporiamo dei gustosi Souvlaki accompagnati dal tipico Tza Tziki.
Il cinque agosto, ormai completamente ritemprati, approfondiamo l’aspetto storico culturale della nostra vacanza puntando diretti sull’impressionante Micene.
La strada da Nauplia è molto buona e veloce e le indicazioni numerose e precise: arriviamo a destinazione in un batter d’occhi.
La visita dell’antica città richiede due/tre ore ed il biglietto d’ingresso dà diritto alla visita di più siti archeologici presenti in zona.
Chi è appassionato di archeologia o, semplicemente, di storia e sassi vecchi, troverà a Micene pane per i suoi denti.
Sebbene faccia molto caldo, Annalisa ed io riusciamo a salire sino in cima al colle sul fianco del quale sono aggrappate le vetuste rovine, passando per la celeberrima Porta dei Leoni, eretta nel 1250 a.C.: costituita da quattro enormi blocchi di pietra di circa 20 tonnellate l’uno (!) e sovrastata da un altro pietrone triangolare sul quale sono scolpiti i corpi di due leoni senza testa (che originariamente era d’oro e costellata di pietre preziose) con in mezzo una colonna.
Questo fregio rappresenta il rilievo monumentale più antico e famoso d’Europa… 
Il sito contiene altro pietrame interessante, tra cui ciclopiche mura di cinta (spesse fino a dieci metri), resti di edifici e varie tombe di re e regine che non sto qui ad elencare.
Non ancora sazi di anticaglie e di chilometri, decidiamo di fare una “puntatina” ad Atene, con fotososta all’impressionante stretto di Corinto (ormai attrezzato anch’esso per il bungee jumping) 

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Inutile descriverle l’acropoli: se ne è parlato anche troppo; mi limiterò a sottolineare lo sbigottimento provato al pensiero che opere sì monumentali sono state realizzate con mezzi ben poveri e tanto… olio di gomito!
Meraviglioso il Partenone (anche se abbastanza smozzicato), bellissime le famigerate Cariatidi (anche se le originali sono esposte nell’adiacente museo), sbalorditivo il tempio di Apollo (praticamente intatto, fatta eccezione per parte dei fregi esterni).
Inutile dire che la visita dell’Acropoli richiede una bella dose di… sudore!!!
Dopo una breve sosta ristoratrice (una granita alla fragola € 4,50: ne avevo chieste due, ma quando mi ha sparato il prezzo, una gliela ho fatta ributtare nella macchinetta!!) prendiamo la bella (ed incasinatissima) metropolitana per andare a vedere il celebre cambio della guardia.
Tornati a Nauplia grazie alla bella, ma VENTILATISSIMA, autostrada che corre lungo la costa, andiamo a letto esausti ma felici di aver visto da vicino tante delle cose che abbiamo studiato ai tempi della scuola e che allora tanto ci hanno fatto sbadigliare.
La mattina del giorno successivo lasciamo Nauplia diretti a Vitina, un paesello sulle montagne dell’Arcadia.
La strada è molto bella: ci si ritrova in quota in un baleno e per un bel pezzo si gode della vista sul golfo argolico, la temperatura si fa freschina ed io desidererei avere con me un pulloverino.
Superato un passo di montagna a circa 1200 metri s.l.m., ci si addentra in un fitto bosco di conifere; il tempo si fa decisamente autunnale e, dopo un improvviso – quanto violento – acquazzone, arriviamo in paese (considerato la patria degli intagliatori) verso ora di pranzo.
Scendiamo al Mainalon Art Hotel – dove sono esposte numerose opere pittoree di arte greca contemporanea – e per 60 € a notte (50 ne avevamo pagati a Nauplia) - ci assicuriamo una bella stanza con parquet e dipinti appesi alle pareti.
Dopo pranzo (se capitate da quelle parti DOVETE provare l’omelette con carne di maiale: un frittatone che da solo è sufficiente a sfamare una famiglia) ricomincia a piovere; tornati in camera – complice la stanchezza, il vinello, il frescolino, la panza piena e il temporale nel frattempo scatenatosi – ci mettiamo a ronfare sino a quasi le otto di sera!
La serata è stata abbastanza animata: la Stella Artois ha sponsorizzato una manifestazione di piazza organizzata per i (ricchissimi) villeggianti del luogo, con distribuzione GRATUITA di lattine di birra, coca cola, aranciata, patatine e stuzzichini vari; il tutto mentre alcuni giovinastri strimpellavano da un palco (credo) gli ultimi successi della Hit Parade greca.
Quello che più mi ha stupito sono state l’estrema tranquillità della manifestazione e la inverosimile educazione dei partecipanti: tutti prendevano tutto, ma senza accalcarsi, senza gridare, senza spintonarsi, senza ‘mbriacarsi…
Ho provato ad immaginare cosa sarebbe successo se, in una qualsiasi città d’Italia, fosse stata organizzata una distribuzione gratuita di qualsiasi cosa, foss’anche di corde per impiccarsi…
Mi sono stretto nella giacca della cerata – indispensabile data la temperatura, benché non piovesse – ed ho svolto amare considerazioni.
La mattina successiva ci svegliamo di buon’ora, complice un tempo radioso, e, dopo una colazione da “tutto pagato” (cominciata con latte e biscotti e finita con uova e salsicce, passando per torta, yogurt, frutta sciroppata, formaggio, prosciutto e salame), ci dedichiamo all’esplorazione dell’Arcadia, dedicandoci soprattutto ai paesini di Dimitsàna e Levìdi.
All’inizio del percorso, il nostro sguardo viene attirato da una piccola e graziosa chiesetta situata ai margini di una strada secondaria – imboccata per errore – ed immersa nell’adiacente bosco, che decidiamo di visitare.
Tornati alla moto – lasciata sul lato opposto della strada, in corrispondenza di una fonte – troviamo una famiglia di greci che stava facendo un pic nic (alle dieci del mattino!); ci accolgono con inaspettata cordialità e, prima di accomiatarsi, ci offrono un bicchiere di vino, un pomodoro ed una fetta di pane e buonissimo formaggio.
Ormai di ottimo umore (Burp!!), lungo il nostro peregrinare ci imbattiamo in alcune oscure indicazioni per il monastero di Moni Prodromoù; la strada è sterrata e, dopo una rapida consultazione della guida, Annalisa acconsente alla ricerca del sito, rivelatosi poi molto suggestivo 

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anche se, ad un certo punto, la strada finisce e bisogna continuare a piedi per una mezz’oretta di mulattiera -.
Verso le quattro del pomeriggio, ci dirigiamo di nuovo verso Vitina.
Ormai esaurite le scorte alimentari accumulate nei nostri stomaci al mattino, decidiamo di fermarci a mangiare in una Taberna avvistata “al volo” ai margini della bella strada, tra una derapata ed una sgommata.
Chiedo all’oste maledetto cos’ha da farci mangiare ma, come ovvio, non capisco una cippa di quello che dice e così decido di seguirlo per vedere quali “pietanze” ha da proporre: scoperchia un pentolone grande quanto quelli delle streghe delle fiabe che si rivela essere colma di un denso brodo nel quale galleggiano appetitosi pezzi di carne.
Gli faccio capire che va bene, qualsiasi cosa sia, ed alla fine ci siamo ritrovati a mangiare su sedie claudicanti un gustoso bollito di montone.
Tornati “alla base”, trascorriamo il pomeriggio a fare shopping.
In serata cena a base di pitas, e poi a fare una bella nanna, cullati dalla bella temperatura e dall’assoluto silenzio che solo la montagna sa regalare, però non prima di aver donato un tocco artistico al dipinto appeso al muro della nostra camera, ispirati dalle zanzare che vi abbiamo trovato (leggi: impronta di ciabatta numero 38 con zanzara spiaccicata sulla tela e relativa macchiolina di sangue)…
La mattina dell’otto agosto, caricata la moto, ci avviamo di buon’ora verso il sud del Peloponneso, diretti verso la Laconia.
Passando per Tripoli, imbocchiamo la bella E961 la quale, sempre passando per le catene montuose che regnano sovrane per tutto il Peloponneso, dopo circa 100 Km di tragitto, passando per la città di Sparta – che non offre nulla di particolare, a parte un’ampia piazza circondata da imponenti alberi dai quali i piccioni fanno il tiro al bersaglio cagando in testa ai passanti -, conduce dritta dritta a Gìthio (abbiamo poi scoperto che si pronuncia Ghithio), affascinante centro che rappresenta la “porta d’accesso” orientale del Mani.
Il paesello è molto caratteristico: la passeggiata si affaccia direttamente sul mare; su un lato del marciapiede c’è una sfilza di hotels e negozietti/localini di tutti i tipi (da non perdere un giro al Paliatzoùres: negozio dei rifiuti. A dispetto del nome è infatti un bellissimo negozio di antiquariato), mentre sulla sponda opposta ci sono i tavolini delle numerosissime taberne situate sul lato opposto della strada.
Trovato un posto per la notte (un discreto Hotel con stanze munite di bellissime ed ampie terrazze sul mare), messo a tacere lo stomaco e rimandato il programmato “giretto” nel Mani, decidiamo di dedicare il pomeriggio alla visita della vicina Mistrà.
Anche qui c’è stato molto da sudare, ma ne è valsa davvero la pena; il sito è relativo ad una città medievale (Mistrà, appunto) fondata nel 1249 sul fianco del monte Taigeto, in cima al quale un cavaliere della quarta crociata aveva precedentemente (1200) costruito la propria fortezza.
La città, che nel periodo della sua massima espansione contava 45000 abitanti, è divisa in una parte bassa ed in una parte alta; essa, dopo il crollo di Bisanzio – prima metà del XV secolo – andò progressivamente spopolandosi finendo con l’essere completamente abbandonata.
Nel percorrere le intricate viuzze cinte in possenti fortificazioni si ha l’impressione di fare un salto indietro nel tempo e dopo un po’ ci si immedesima talmente nell’atmosfera che non si rimarrebbe sorpresi alla vista di un cavaliere con tanto di armatura e pennacchio che proceda al trotto sulla pavimentazione e gli edifici ancora in gran parte pressoché intatti.
Certo, la vita dei “medievali” non doveva esse facile: per salire in cima ci si “smazza” un bel po’. Povere le massaie che, al ritorno dalla spesa, dicevano “ooops… ho dimenticato di compare un lievito!”.
La mattina successiva (non vedevo l’ora!) decidiamo finalmente di esplorare il Mani.
Il motivo di tanta impazienza era dovuta al fatto che, regalato un libro di itinerari motociclistici ad un compagno di merende della TAVesuvio (grazie Aldo!), ne avevo estratto, appunto, la sezione relativa al Mani.
Ebbene, solo questa zona dell’estremo sud del Peloponneso vale un intero viaggio in Grecia.
Partiti da Gìthio, siamo arrivati alla graziosa Areopoli

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(dove per una modesta colazione ci hanno fatto un culo così) dalla quale abbiamo poi proseguito per Porto Kàgio

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lungo il fianco ovest della penisola; dopo un breve bagnetto, abbiamo cominciato la risalita verso Areopoli dal versante est concedendoci ancora un paio di tappe “balneari” e “mangerecce”.
Il paesaggio offerto dalla zona è davvero suggestivo; qui i monti sono davvero aspri, a strapiombo nel limpidissimo mare sottostante. Le interminabili scogliere, poi, d’improvviso si aprono in deserte calette di sassi bianchi che hanno tutta l’impressione di non essere mai state calpestate da piede umano.
In più, va aggiunto che il territorio è disseminato di grezze torri di guardia bizantine, alternate alle caratteristiche case a torre non intonacate; il vento soffia per le vie di paesini sperduti nei quali si respira ancora l’atmosfera delle antiche e sanguinose faide familiari del XIII secolo…

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Insomma: DA NON PERDERE!!!
Nonostante l’esplorazione – effettuata nel tardo pomeriggio – del litorale di Githio non ci abbia lasciati particolarmente entusiasti, decidiamo comunque di prolungare il nostro soggiorno anche al giorno successivo, dedicandolo alla visita della città di Monemvassia, sita sull’ultima propaggine orientale del Peloponneso.
Anche qui le parole necessarie a descrivere questo straordinario connubio tra una natura aspra e selvaggia e la laboriosa opera dell’uomo sarebbero troppe.
La cittadina è praticamente invisibile dall’entroterra poiché sorge, letteralmente abbarbicata, su uno sperone di roccia a picco sull’Egeo.
Anch’essa fondata in epoca remota (V secolo), come Mistrà è divisa in una parte alta ed in una parte bassa, quest’ultima tutt’ora abitata e molto frequentata dai vacanzieri più chic della Grecia.
La parte alta, collegata alla parte bassa dalle solite straduzze fortificate che ti fanno smadonnare un bel po’ mentre ti ci arrampichi sopra, è invece ormai abbandonata

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La faticosa salita è tuttavia più che ampiamente ripagata dagli scenari mozzafiato che si godono da lassù…
Lungo la strada del ritorno, sosta balneare; poi a cena e quindi a nanna per affrontare l’ultima tappa del nostro Peloponnisos Discovery 2005. 
La meta successiva è stata oggetto di una oculata scelta; superata la città di Kalamàta ci siamo indirizzati verso il sud della Messenia, con l’intento di decidere se soggiornare a Pilos, Methoni o Koroni soltanto dopo averle – seppur sommariamente – viste tutte e tre. Al primo impatto, Pilos, seppur affacciata in una incantevole baia (per l’esattezza quella dove si combattè la battaglia di Navarino), non mi ha entusiasmato; ci fermiamo a pranzo e poi decidiamo di procedere verso sud, alla volta di Methoni che, a dirla tutta, mi ha profondamente deluso.
Lungo la strada che da Methoni conduce a Koroni - percorrendo la quale abbiamo goduto di un meraviglioso panorama su un mare spettacolare – si incontra il centro di Filicounda, assai squallido.
Esso non è altro che un dormitorio sorto disordinatamente sulla costa per soddisfare le richieste dei turisti.
Un’impressione migliore mi ha dato Koroni, assai più graziosa, dove ci siamo fermati a bere qualcosa.
Un’attenta lettura della guida, le informazioni raccolte in loco e la prospettiva di dover poi fare un’unica tirata fino a Patrasso, ci hanno alla fine spinti a tornare sui nostri passi e ad optare per Pilos

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Ivi giunti, è cominciata una vera odissea alla ricerca di una sistemazione per cinque notti.
Alla fine ne abbiamo trovata una soddisfacente per € 60 a notte, colazione compresa.
Durante il soggiorno abbiamo incontrato una coppia di Listaroli emiliani (ciao a Luca e Cristina) che hanno condiviso con noi il medesimo albergo per un paio di notti.
L’ultima tappa del viaggio è stata improntata al completo relax: dormire, mangiare ed andare al mare. Stop!!
Per il mare, abbiamo potuto godere della stupenda spiaggia dorata di Chrissi Actì (dove c’era un grazioso lido che, per tre Euro, offriva due lettini, una sedia e l’ombrellone per l’intera giornata), nonché della romantica baia di Finicounda

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La mattina del diciassette agosto siamo partiti per Patrasso da dove, imbarcatici, siamo arrivati a Brindisi il mattino successivo.
Per tornare a Napoli abbiamo percorso la bella Bisentana – snobbando la A16 – passando per Taranto, Potenza e Salerno.


ALCUNE CONSIDERAZIONI ED UN PO’ DI NUMERI.

Per dormire non abbiamo mai speso più di 60 Euro a notte e mai meno di 50, ma sempre con colazione compresa.
I greci sono molto corretti, ma non eccessivamente socievoli (però c’è da dire che quasi nessuno parlava l’italiano).
Le strade sono state sempre discrete anche se, in prossimità della costa e nei tratti più esposti al vento, l’asfalto era molto scivoloso a causa della salsedine.
Il giro “è durato” 3.126 Km.
Il prezzo della benzina non ha mai superato 1€/L.
Da provare assolutamente – oltre le famigerate pitas e la mussakà – sono il Saganaki (formaggio fritto), l’Octopodia (‘nzalata ‘e purpo), la Kalamarakia (calamari fritti) ed il polpo grigliato.
Degna di menzione è anche la pizza greca. 
Da evitare, a meno che non vi piaccia la pasta molliccia, sono tutti i piatti a base di pasta. “Pastizio” compreso.
Il mare è molto bello ovunque e le spiagge mai affollate.
Tuttavia il Mani offre solo poche – ma stupende – calette assai ventilate, mentre in tutta la zona orientale del Peloponneso le correnti giocano a sfavore della cristallinità dell’acqua, ed anche le spiagge non sono proprio il top.
Discorso inverso per la costa occidentale: belle ed ampie spiagge di sabbia, a volte nascoste da alte dune.
Moltissimi camperisti e motociclisti italiani, soprattutto toscani, lombardi e piemontesi.
Traffico quasi inesistente.
Tutti i motociclisti incrociati hanno risposto al saluto, tranne qualche greco, abbastanza italiani ed un paio di saponettari.
L’Italia è conosciuta dai “peloponnesiaci” soprattutto per Roma, Vale Rossi e Maradona.