Francia 2008 - Alessandro Margnetti

Autore: Alessandro Margnetti alias Orso

Periodo: 5-10 maggio 2008 

Partecipanti


  • Alessandro Margnetti su Honda Africa Twin XL750V
  • Lorenza e Roberta su Bmw F650Gs

 


Premessa

Quando sento il bisogno di partire e posso farlo, parto.
Fino a oggi, partire significava muoversi verso luoghi definiti,
vedere delle cose di cui sapevo, aggiungere luoghi ed emozioni di cui
non sapevo e tornare a casa con un bagaglio di conoscenze in più.
Questa volta è stato diverso.
Non ricordo quando e dove, Lorenzo e Roberta mi chiedono di aggregarsi
almeno per un po' al mio viaggio. L'idea di viaggiare in compagnia per
più di un giorno mi spaventa e mi incuriosisce: dovrò condividere i
miei spazi mentali con qualcuno, in una situazione a cui non sono
avvezzo. Non ho alcuna esperienza in merito e la cosa mi spaventa.
Tuttavia mi piacciono, questi due fratellini, e quindi perché no?

Andiamo, dunque!



5 maggio 2008
Camorino - Exilles (Val di Susa)
356 Km

Partiamo verso le dieci. Lorenzo e Roberta hanno dovuto lasciare la
loro menomata micia dal veterinario, ma non c'è fretta: il letto per
questa sera è garantito ed è un affanno in meno. Sulla sponda
piemontese del Verbano il traffico è poco; solo qualche camper o
qualche olandese timoroso fanno, a tratti, da tappo.
Il cielo è grigio, l'aria brumosa. Speriamo che almeno non piova e che
nei prossimi giorni si giri al bello. L'idea è quella di fare la
Panoramica Zegna, ripercorrendo la strada fatta con Luca lo scorso
autunno. Non ho una carta della zona e andiamo un po' a lume di naso e
un po' utilizzando il navigatore di Lorenzo ché sul mio ho saputo
salvare le mappe ma non i percorsi.
Raggiungiamo Trivero, dove ci fermiamo per un panino e dove quattro
habitués che giocano a carte rimediano a un mio momentaneo lapsus
ricordandomi che il sovrastante monte che diede rifugio a Fra Dolcino
e ai suoi compagni si chiama Rubello.
Lungo tutta la panoramica si torvano piazzole con grandi pannelli
panoramici. Sui pannelli si legge che là, dove ora il grigio è più
fitto, c'è l'Appennino tosco-emiliano; là sotto quelle che sembrano
nubi cariche d'acqua ci sono le Alpi dietro casa mia; lì dove non si
vede nulla c'è il Monte Rosa. Le nebbie non ci trattengono e così
proseguiamo godendo dei pascoli, delle betulle e dei faggi che appena
stanno aprendo i loro germogli, dei numerosi gheppi, delle poiane e
delle ghiandaie che popolano questi cieli uggiosi. Una volpe insegue
un topo fin sul lato della strada. Resta un po' perplessa al mio
passaggio, ma non si scompone e si lascia osservare bene anche da
Lorenzo, che segue. Tutta la zona mi ppare strana. Già lo scorso
autunno ho avuto questa strana sensazione, ora mi pare di capirla.
Rosazza è colma di simboli rosacrociani. Lungo la Panoramica si sfiora
il monte Rubello, ultimo rifugio degli eretici dolciniani; poco
lontano da qui, in linea d'aria, operavano catari, valdesi, bogomili.
Sempre qui attorno sorgono importanti santuari: quello di Varallo,
quello di Oropa, di Graglia. Sembra un alternarsi di mosse e
contromosse ruotanti attorno a molteplici eresie e ai tentativi di
neutralizzarle. Raggiungiamo Bielmone, poi Rosazza e saliamo verso
l'omonima galleria. Un cartello ci dice che la strada è ancora chiusa,
ma tentiamo lo stesso; alla peggio torneremo indietro. A duecento
metri dalla galleria abbiamo fortuna: due lingue di neve che
sicuramente fino a un paio di giorni prima non ci avrebbero fatto
passare, ora lasciano libero un varco di una cinquantina di
centimetri. Un'automobile non passerebbe, ma noi siamo meno
ingombranti e arriviamo agevolmente alla galleria. 
attraversiamo la galleria grondante d'acqua e scendiamo verso il
santuario di Oropa. Non ci lasciamo impressionare dall'imponenza del
luogo, anche perché si fa tardi e la nostra meta è ancora lontana e
appena sotto il santuario deviamo sulla destra lungo la SP 512 che
dovrebbe portarci a Graglia e poi a Biella. So che un breve tratto di
questa provinciale è ancora sterrato e so che anche Lorenzo e Roberta
lo apprezzeranno. Come dicevo, vado a istinto e a memoria, ma
quest'ultima fa difetto e a un bivio, invece di piegare a sinistra che
è in discesa e da qualche parte civilizzata si potrebbe anche
arrivare, andiamo diritti. La strada è asfaltata per un po', poi passa
a fondo asfaltato sconnesso che si trasforma rapidamente in strada
bianca, sterrato preoccupante, bivio salvifico precipite e asfaltato
che ci riporta in una non meglio precisata località a metà strada tra
Biella e Ivrea dove troviamo un distributore di benzina ove
rifocillare destrieri, cavalieri e principessa.
Faciamo il punto e affiniamo la strategia per evitare il traffico di
Torino, affidandoci alle moderne tecnologie rappresentate dal palmare
di Lorenzo e dai suggerimenti del benzinaio che la fa facile: "vai lì,
giri a sinistra poi alla seconda a destra. Al terzo semaforo pieghi a
sinistra tenendo la destra turnicandoti sulla corsia di mezzo". Fino
al "vai lì, giria sinistra" ce la facciamo. Oltre Ivrea, lungo la
strada, molte ragazze africane in offerta. Sono giovanissime, spesso
molto belle e tutte mi mettono addosso una grande tristezza Poi, ci
troviamo nel traffico di Torino che fa salire la temperatura del
motore a livelli di guardia. Per un momento, in alto sulla mia
sinistra, intravvedo una cicogna in volo. Dà un senso a questa
baraonda di macchine nevrotiche e mi consola. A fatica usciamo dalla
bolgia. Il traffico si dirada.
La Val di Susa è sgombra, verde e costellata di scritte "NO TAV".
Raggiungiamo Exilles. Davanti alla fortezza deviamo verso la frazione
di Cels dove faremo tappa qui http://www.cmavs.it/lauracels.asp. A
portata di gamba non c'è di che cenare. Riprendiamo un po' di
malavoglia le moto e scendiamo a Gravere dalla Chica España dove si
può gustare una paella cucinata come si deve, anche se in Val di Susa
risulta un po' strana. Rientrando, ci fermiamo un attimo ad ammirare
il Forte illuminato.
Il letto è comodo ma non riesco a dormire bene. Il trambusto del
cambiamento mi mette un po' di agitazione e mi sveglio spesso.


6 maggio 2008
Exilles - Castellane (Verdon)
270 Km

Mi alzo presto per dare un'occhiata a Cels. Forse è uguale a mille
altri posti persi nel cuore delle Alpi, ma è un luogo con il quale
condivido un frammento della mia esistenza e per questo cerco di
coglierne qualche particolarità. Vecchie case contadine si mischiano a
qualche costruzione nuova e a qualche edificio ristrutturato. Qua e
là, al livello del terreno, minuscole porte fanno indovinare cantine
scavate nella roccia. Il settecentesco forno comunale sta a dimostrare
l'antica autonomia di questo piccolo nucleo. Un grimo di case più
volte travolto dalla storia come dimostrano il Forte, la cui forma
attuale risale a Vittorio Emauele I, e una targa in memoria di un
anziano e di una ragazza uccisi nai nazifascisti.
Parietaria sui muri, un gatto, qualche abitante con il quale scambiare
il buongiorno. Una cinciallegra vola al nido, nel pertugio di un muro.
La giornata è nebbiosa, ma per ora è asciutta.
Saliamo per ampi tornanti dal fondo non sempre perfetto con un attimo
di panico e subitaneo arresto perché Lorenzo sta perdendo il
navigatore che gli sventola sul serbatoio. Ridiscendiamo su
Bardonecchia, risaliamo a valicare il Monginevro. Monginevro è uno dei
tanti luoghi che vivono del turismo invernale e, all'occorrenza,
estivo: un nulla costituito da una quantità di casemoni fantasma. Poco
dopo ci appare la cornice di fortificazioni che racchiude Briançon.
Entriamo nella cittadina attraverso la "Porte de Pignerol". Una
scritta risalente a chissà quando ci informa che è proibito transitare
trottando, manteniamo quindi il nostro passo abituale e scendiamo
lungo una variopinta e ripida strada che porta al "Jardin du
gouverneur", un terrazzo che si affaccia sull'abisso. Sulla strada c'è
poca gente. Molti negozi sono ancora chiusi, altri stanno aprendo ora.
Un curioso scolo scende lungo la via. Oggi vi scorre l'acqua
proveniente da chissà dove; non oso pensare a cosa vi scorresse in
passato.
ci troviamo sulla "Rue des grandes Alpes" e saliamo verso il Col du
Var. Invento lì per lì un accrocchio per montarci la macchina
fotografica e cerco di collaudarlo riprendendo Lorenzo e Roberta che
mi porecedono di qualche decina di metri. La strada è splendida quanto
il paesaggio. In alto c'è ancora neve. Una marmotta, neanche troppo
spaventata, si allontana dal ciglio della strada.
A Barcelonnette ci fermiamo per rifornire le moto e per una birra. Là
in alto si intravvede la strada che porta al Col de la Bonnette,
ancora chiusa.
Poi via, lungo una strada dissestatissima, ma divertente. Arriviamo a
Dignes les Bains dove ci fermiamo per un toast e un meno di un'ora
siamo a Castellane. Troviamo alloggio in un allberghetto scadnete e
piuttosto caro. Mi ricorda certi albergacci trovati lo scorso anno in
Lorena. Spero che non sia lo standard francese. Ceniamo in un
ristorantino che, all'apparenza, sembra carino e che si rivela solo
caro. Oltretutto mangiamo male. Castellane non ci lascerà un gran
ricordo di sé.
La sera, nel silenzio del villaggio si sentono le urla di un ubriaco,
arrabbiato con chissà chi. Poi, solo il richiamo flautato di due
assioli: uno qui vicino, la femmina, dal canto più alto di mezzo tono,
chissà dove.


7 maggio 2008
Castellane - Cabrières d'Avignon (Luberon)
314 Km

Nelle gole del Verdon ti perdi e ti ritrovi per poi vedere, qualche
centinaio di metri più in là, il luogo dove ti sei perso poco prima.
Per un attimo ci perdiamo di vista e così Lorenzo e Roberta vanno da
una parte, io dall'altra. Momenti di panico. Il cellulare di Roby è
muto, lei non ha il mio numero. Dopo qualche peripezia ci ritroviamo,
ripercorriamo un pezzo di strada che attraversa un poligono militare
destinato ai mezzi cingolati e ci ritroviamo sospesi sugli abissi del
canyon. Ai fianchi della strada ci adocchiano le macchie rosa dei
cisti fioriti, l'azzurro del lino. Numerose farfalle ci volteggiano
attorno; qualcuna si suicida sul casco o sul parabrezza. Dopo una
sosta sul ciglio delle Gole per due foto, per un panino e una birra,
per osservare alcuni avvoltoi grifoni, lontanissimi, che veleggiano
senza muovere le ali, attraversiamo il Pont de l'Artuby, uno dei più
alti d'Europa e ci inerpichiamo lungo la rive gauche. Raggiungiamo
Moustier St.e Marie, e saliamo verso la Palud. Un cartello di divieto
ci fa tornare indietro. Torniamo a Moustier e puntiamo verso ovest. A
un certo punto le opinioni del mio navigatore e di quello di Lorenzo
divergono: il mio vuole avviarmi su una sterrata, quello di Lorenzo
vorrebbe farci proseguire dritti sull'asfalto della dipartimentale. Ci
lasciamo ingolosire e diamo retta al mio. Una strada bianca attraversa
campi puntinati di papaveri, sale leggermente verso un bosco e lo
sterrato diventa più impegnativo: larghe pozze d'acqua fangosa,
radici, discese ciottolose. Dopo quattro o cinque chilometri
ritroviamo l'asfalto, ma siamo fuori rotta. Recuperiamo la
dipartimentale di prima, stavolta lungo una strada asfaltata e
proseguiamo verso Apt, dove siamo accolti da un traffico caotico che
riusciamo comunque a superare.
A Gordes, un bell'albergo sulla strada secondaria che attraversa il
villaggio attira la nostra attenzione. Suoniamo, ma nessuno ci apre.
Su una lavagna c'è un numero telefonico. Proviamo. Risponde una
segreteria. Riprendiamo le moto (Roby scoprirà poi, qui, che ci siamo
persi qualcosa http://www.auralentidulierre.com/index.html). Una
stradina che sale sulla destra indica delle "chambres et tables
d'hôtes", il corrispondente imposto dall'Académie Française ai Bed &
Brekfast. Il luogo sembra lussuoso e disabitato. Appare un elegante
signore che ci annuncia il tutto esaurito, ma, ci dice, un suo amico
ci potrebbe ospitare. Finiamo al Vieux Bistrot di Cabrière d'Avignon,
a due passi da Vaucluse. Siamo accolti dai mille salamelecchi e da un
proffluvio di "mes amis" del proprietario. Le camere sono bellissime,
quasi sontuose. Ci costerà un rene, ma per oggi abbiamo cercato
abbastanza. Ceniamo nel Vieux bistrot e andiamo a dormire dopo due
passi digestivi in giro per il villaggio deserto.


8 maggio 2008
Cabrière d'Avignon - Propiac (Drôme)
330 km

Il padrone dell'alberghetto è forse abituato a dormire, il mattino.
Normalmente la colazione è servita a partire dalle nove. Fa
un'eccezione e ce la serve alle otto e mezzo, ma riusciamo comunque a
partire troppo tardi. Oggi, in Francia è giorno festivo. Dovremo
aspettarci un po' di traffico sulle strade. Puntiamo verso Les Ocres
de Roussillon
(http://www.avignon-et-provence.com/luberon/ocres-roussillon/). C'è
già un po' di gente sulla strada, a una rotonda sbagliamo direzione e
ci allontaniamo dal luogo. Ci troviamo a Vaucluse un po' rimpiangendo
di non aver visitato meglio il villaggio color terra da cui sembra
venga anche la terra del Roland Garros.
Anche Vaucluse è presidiata dai turisti. Due passi nei pressi della
fonte cantata dal Petrarca, l'aquisto di due ninnoli in un grosso
negozio di carabattole - souvenir e puntiamo verso Arles.
Attrasversiamo la bella zona delle Alpilles, tra grandi rocce
affioranti nel verde di boschi e campagne. La strada è bellissima e
ogni curva cela una sorpresa. Canto dentro il casco, cosa che faccio
spesso quando il paesaggio mi emoziona. Attraversiamo un frutteto e ho
il tempo per osservare due grossi falconi che volano in coppia. Sono
in controluce, ma la loro silohuette e le loro dimensioni mi fanno
ritenere che siano una coppia di falchi pellegrini.
Ad Arles, raggiungiamo una piazzola tra teatro romano e Arena e
parcheggiamo le moto. Facciamo il giro dell'Arena, curiosando nei vari
negozietti che le fanno da cornice. C'è molta gente in giro. La
cittadina sembra piacevole; alcuni scorci ricordano i caffè notturni
di Van Gogh.
Sia l'Arena sia il teatro sono in fase di restauro. Della prima si
stanno ripulendo minuziosamente le facciate, levando le tracce che il
tempo ha lasciato nel calcare. I settori dove l'intervento si è
concluso appaiono ora lindi e lustri, ma a me non piacciono molto:
sembrano di plastica. Il teatro è invece sottosopra ed è costituito da
un unico grande cantiere.
Acquistiamo un paio di ricordini in un negozietto profumato di lavanda
e riprendiamo la strada. Davanti a noi si stende la Camargue. Una
terra piatta e semiarida dove fra arbusti grigi pascolano cavalli
bianchi e tori neri. costeggiamo una grande riserva ornitologica e,
lontano, intravvediamo un grosso stormio di fenicotteri. Devono essere
centinaia. Gruppi più piccoli sostano negli stagni che costeggiano la
strada.
Sostiamo per rifocillarci un poco e puntiamo verso Saintes Maries de
la Mer. All'entrata della cittadina, in uno stagno, un gruppetto di
sei fenicotteri zampetta nell'acqua. Non sembrano intimoriti né dal
traffico né dalla gente che va e viene. Ne approfittiamo per
avvicinarci e per scattare qualche foto. Quando Roberta si avvicina
loro, si limitano a camminare un po' più in là, mantenendo quella che
ritengono essere una ragionevole distanza di sicurezza.
Saintes Maries de la Mer è una Bellaria occitanica. Automobili,
turisti, decine di motociclisti la popolano. A ogni angolo di strada
vi sono dei gendarmi, a coppie o in cruppetti di tre o quattro.
Ci fermiamo il tempo per guardare il mare. C'è un po' d'aria e non fa
caldissimo, ma due o tre ragazzini guazzano comunque nelle onde basse.
Il ritorno è trafficato. Aggiriamo Avignone, rinunciamo al Pont du
Gard perché è tardi e dobbiamo ancora trovare una sistemazione per la
notte. Cominciamo a cercare una stanza nei pressi di Vaison la
romaine, ma l'impresa sembra difficile. Puntiamo un albergo, le Plante
vin che dovrebbe trovarsi nei pressi e dopo un lungo giro e una salita
lungo tornanti infiniti, lo raggiungiamo. Il posto è incantevole,
affacciato su colline che si appoggiano al Mont Ventoux. Quello che
sembrerebbe essere il proprietario ci accoglie. È ben disposto nei
confronti dei motociclisti, visto che di motociclismo ci vive
organizzando passeggiate nella regione sia su strada sia fuori.
Ceniamo (bene) nel ristorante dell'albergo. Il vino, un Côte du
Ventoux non è speciale: asprigno e "corto". Migliore si rivela essere
lo sfuso della casa. Ci intratteniamo attorno al tavolo e poi andiamo
a letto.


9 maggio 2008
Propiac - Chamonix
376 Km

Ripercorriamo per un tratto la strada fatta ieri sera. Poi puntiamo
verso nord e verso est, in direzione di Serres e dell'Alta Savoia. Per
strade secondarie arriviamo a uno splendido canyon che percorriamo in
tutta la sua lunghezza. A Serres ci fermiamo per un paio di acquisti.
Vorremmo anche comperare qualche rizoma di iris, fiori che sembrano
simboleggiare la Provenza. Non è la stagione, ci dicono da un fioraio,
e poi più nessuno compra radici di iris: sono talmente infestanti che,
volendo, si estirpano nel giardino di qualcuno ottenendo ciò che si
vuole con il plusvalore, pare di capire, della gratitudine di chi gode
del nostro intervento disinfestante. Ci riproponiamo di raccogliere
qualche radice strada facendo, inconsapevoli del fatto che dopo Serre
non troveremo più un solo iris. Serres, infatti, è uno degli ultimi
baluardi provenzali prima dell'alta Savoia; gli iris lo sanno e da lì
in poi smettono di proliferare.
Raggiungiamo il Col du Festre, spettacolare per il silenzio e per le
montagne che ricordano le nostre Alpi anche se appaiono tagliate in
modo diverso. Le Alpi sembrerebbero prodotte da due forze titaniche
contrapposte e di forza equivalente che, spingendo da una parte e
dall'altra hanno sollevato quelle che oggi sono le più alte montagne
d'Europa. Qui, invece, sembrerebbe che la forza titanica abbia spinto
da un solo lato, rovesciando la crosta terrestre e lasciandoci pendii
costituiti da stratificazioni marine girate su un fianco. Non siamo
geologhi; sono solo le speculazioni di un umanista, di un informatico
e di un'esperta in comunicazione.
Ci fermiamo a lungo a guardarci attorno tra lo zampettare delle
ballerine bianche. Torniamo verso il piano, lungo strade quasi
deserte. Un uccellotto si affretta di fianco alla strada. Direi una
coturnice per le barre sui fianchi, ma da queste parti le coturnici
non ci sono che io sappia; è più probabile che si tratti di una
pernice rossa.
La Mure, vista dal basso sembra un paesino come tanti: un fronte di
case affacciato su un dirupo. La dipartimentale la aggira e ci porta
al paese in un paio di curve, rivelando l'inganno ottico. Il dirupo è
una lunga collina su cui sii appoggia un grosso borgo. L'aria è un po'
dimessa, con quell'aria anni Cinquanta che hanno tutti i villaggi
francesi discosti dal turismo di massa . Ci fermiamo nei pressi di un
minuscolo bar, dove ci facciamo preparare dei Kebab e acquistiamo
delle bibite.
Ci fermiamo a mangiare sulle rive del Lac de Pierre-Châtel, un
laghetto privato che in qualche misura ricorda i laghetti dell'Engadina.
Da Megève cominciamo a cercare alloggio presso una quantità di
alberghi che si rivelano chiusi. Una grande villa, sede odierna di uno
dei tanti Logis de France avrebbe due camere, ma la gerente è restia a
crearsi lavoro per la sola notte che la nostra permanenza
comporterebbe. Il tempo di fotografareun coniglio selvatico che
saltella ai bordi del parco e ripartiamo. Finiamo a Chamonix, sotto lo
sguardo severo del Monte Bianco, in un piccolo albergo pulito, gestito
da una simpatica signora che ci dà alcune indicazioni per la cena. Ci
sarebbe una rosticceria a qualche centinaio di metri dall'albergo, ma
una panne elettrica la esclude. Dopo una doccia, riprendiamo la moto e
ci offriamo una sontuosa Croute au fromage presso il Fer de cheval,
quasi nel centro di Chamonix.


10 maggio 2008
Chamonix - Camorino
283 km

Mi sveglio presto. Pottrei girarmi dall'altra parte, ma prima voglio
vedere qual è il tempo che ci aspetta. Il sole accarezza le cime del
monte Bianco. Decido che dormirò un'altra volta e che è bene fissare
qualche immagine della montagna che ci sovrasta.
Lorenzo appare alla finestra del terzo piano, carichiamo le moto e
facciamo colazione. Il viaggio volge alla fine. Gran parte della
strada che percorreremo oggi è conosciuta.
Raggiungiamo il Col de Montet. La strada è bella e il paesaggio pure,
tuttavia siamo sazi di paesaggi e forse abbiamo già la mente rivolta
alla monotonia del Vallese che ci aspetta. Fatto sta che non riusciamo
ad apprezzare appieno i pochi chilometri che ci separano dalla
frontiera svizzera.
Il balcone che si affaccia su Martigny, poco dopo la Forclaz, riesce
comunque a sorprendermi. Al di là dell'insospettata estensione della
cittadina vallesana, che vista da dentro avrei immaginato più
contenuta, è spettacolare lo sguardo sui terrazzamenti dei vigneti.
anche più tardi, mentre risaliamo verso Sion e oltre, cerco di
concentrarmi sulla quantità di muri a secco che per ettari ed ettari,
sostengono i pendii tappezzati di vigne. A Sion risaliamo per un
tratto verso la Grande Dixence. L'accesso alla diga è ancora chiuso,
ma vorrei vedere le piramidi di Euseigne, nella valle di Herémence. Ci
sfugge una dieviazione e le piramidi le vediamo dall'alto.
Torniamo su Sion e a Saint - Léonard, nei pressi del lago sotterraneo,
ci fermiamo per una breve sosta.
Ripartiamo, raggiungiamo Briga e attacchiamo le rampe che portano al
Sempione. Manchiamo la vecchia strada che a tratti costeggia la più
ampia cantonale, ma siamo poi costretti a imboccarla da un cantiere
che impone una deviazione a tutti i mezzi che valicano il passo;
puzzolenti camion compresi. Le moto, benché cariche, sono parecchio
più agili degli altri mezzi meccanici presenti per la strada.
Siuperimao camion, camper e altri veicoli e raggiungiamo la deviazione
verso le Centovalli. Ci fermiamo nei pressi di Masera per un'insalata
e una bibita. Ci sgranchiamo le zampette con due passi nel vecchio
nucleo di Roldo e risaliamo verso Santa Maria Maggiore.
Il resto non ha storia: con un paio di sorpassi, forse un po'
azzardati, raggiungiamo Locarno. A Cadenazzo saluto i miei compagni di
viaggio. Sono un po' emozionato e scombussolato. Dopo sei giorni credo
di aver trovato due buoni compagni di strada. Grazie!