Tunisia 2009 - Gabriele Salvatelli

Autore: Gabriele Salvatelli alias Ateniens
Periodo: maggio 2009
Partecipanti: Gabriele Salvatelli su Honda Transalp XL600V 1999 e Fulvio Lamantea su Honda Africa Twin XL750V

Sottotitolo:
“….Venant de kairouan allant a la maison….”

NON DIMENTICHERO’ MAI:

Le decine di volte che mi sono sentito dire: “…….benvenuti in tunisia……”
La disponibilità, la cordialità e la gentilezza del popolo tunisino.
Il delizioso montone cotto sulla brace da un’indigeno locale a sud di Tabarka condito solamente con un pugno di sale.
La freschissima e genuina orata all’isola di Jerba.
Il volto splendido e gli occhi grigi di una ragazza alle isole di Kerkennah.
Il pazzoide che è riuscito a farmi il duplicato della chiave della moto in una bottega dalle dimensioni irrisorie a Kairouan.
Le immense e chilometriche rotture di coglioni degli ambulanti nelle medine.
Le derapate negli ampi spazi sabbiosi a ridosso del mare.
Il thè alla menta: unico!
I mouezin (o come diavolo si scrive) che sembra che si chiamino e rispondano tra di loro, simpaticissimi quando lo fanno alle 4,30 del mattino.
Le bellissime strade tunisine: a tratti, sembra siano state fatte con il carro armato.
Le pecore, le capre, le teste di cammello e manzo appese ai baracchini/ristorante ai bordi della strada.
L’oasi a ksar ghilane: la zuppa speziata, il freddo bestia, le scariche diarreiche e l’insolazione.
Il parco auto tunisino: dal cayenne al carretto trainato dal somaro, una media di euro -3.
CHININI: 4 fontane per tutto il villaggio ma una parabola sopra ogni tetto.
Gli splendidi paesaggi : dal Chott alle zone montuose nei pressi di Matmata.
La coppia ultracinquantenne maltese: arrivati fino a Bristol a ritirare un versis 650 comprato su e-bay, compagni di viaggio all’andata.
La sorpresa di vedermi portare un piatto di fegato alla griglia al posto delle verdure grigliate avendo ordinato “foille grillè”.
I numerosissimi lustrascarpe a Tunisi ed i calzolai artigianali a Douz (deformazione professionale)
Le ustioni sul dorso delle mani per aver guidato 2 giorni senza guanti.

SPECIAL THANKS TO:

Teorico e Manè, gentilissimi e sempre disponibili alla fornitura di probabili ricambi di emergenza da portarsi dietro.
Lucido, Gingignocco e Manè: per i consigli tecnici e logistici di preparazione del viaggio.
Marco Lupo e Norby: il primo ci è venuto a salutare al porto quando siamo partiti ed entrambi ci sono stati d’aiuto a trovare un’alloggio nei paraggi al rientro.
Bradipo: è sopravvissuto e sembra uscito indenne dopo aver trascorso 15 giorni a stretto contatto con il calzolaio, alla fine è riuscito anche a capire cos’è “l’acqua jaccia” 
Bibo: non ci sono parole. Senza di lui, probabilmente, la tunisia l’avrei vista solo in cartolina. Oltre agli immancabili consigli tecnici e logistici, la sua esperienza è stata fondamentale nel’indicarci un percorso globalmente equilibrato, conscio delle nostre limitate capacità off e dalla poca esperienza nel viaggiare.
Al buon Dio che è intervenuto laddove non siamo arrivati noi con la prudenza.

FRASI CELEBRI (e demenziali del calzolaio):

Bevendo una birra insieme al gentilissimo Sig. Eugenio (alias Desartica), il suo autista, dicendo che ci aveva notato il giorno dell’arrivo a Tunisi, con voce rauca disse: “……..questi qui son gommati giusti…..questi qui han qualcosa da raccontare!....”. Ho subito precisato: “……..si, le barzellette!....” (Il tizio però sapeva il fatto suo, successivamente si rivelò profeta ed aggiunse: “………con quelle moto lì, conciati come siete e con la scarsa esperienza che avete, sulla sabbia potete fare solo che palestra….” E palestra fu!!).

Durante la navigazione: “………mi piacerebbe provare a guidare una nave…..con le marce però!....”

Alla ragazza nella reception dell’hotel a Le Kef: “…escuse moi mademoiselle: est-ce que je peux avoir le papier igienique?.......”

Affincando ed urlando al bradipo che sotto la pioggia non si decideva a sorpassare un renault express vistosamente riparato male (i ponti non erano in asse, sembrava che l’autista guidasse costantemente controsterzando) seguendolo per decine di km su strade deserte e diritte: “……….hao!!! che lo dobbiamo accompagnare fino a casa??...”

“……..plego pagale plima……..” è quello che mi sono sentito rispondere dalla graziosa barista filippina sulla nave dopo averle ordinato 2 caffè.
Dopo numerosissimi ed insistenti tentativi di affibbiarci una stanza troglodita al posto di quella tradizionale mi sono trovato “costretto” a rispondere tra i denti all’homino della reception: “….ma ti piace tanto? Dormici tu, cazzo, siamo nel 2010, mi son fatto 200 km con la febbre (insolazione + diarrea) e mi vuoi far dormire in una caverna?.......” Al tizio, poco dopo, son venute le vantigliole (leggasi convulsioni) quando ha dovuto affrontare il calzolaio imbestialito deciso a saldare il conto ed andarsene all’istante perchè aveva tentato di fare la doccia ed ha scoperto che non c’era acqua calda.

All’ennesima volta che c’era da tirar su l’africona tra le dune, stavolta pure in contropendenza: “………..mannaggia a Bibo e quando ne nasce un’altro……..per fortuna che non prolifica!!!...” 

Tatouine: i corne de gazele e 2 thè alla menta si vendicano!! La scena si svolge in hotel: “…Fulvio! Corri di sotto e farti dare la carta igienica che questa qui non basta….” Fulvio, che non parla un cazzo di francese mi dice: “………eh, si, ma che cazzo gli dico?....” gli ho risposto: “……..thò, portate un campione!!.......”

El Jem, anfiteatro romano: “……ma come? L’abbiamo fatto noi e ci fai pagare il biglietto per visitarlo?....”

DIARIO

02.05
Dopo essere partito da casa alle 05.30 ed essermi sorbettato la bellezza di 500 km, trovo il Bradipo sotto casa sua, in quel di Mediglia, insieme alla mamma e sorella ad attendermi. Saluti di rito, strette di mano e pacche sulle spalle anticipano un breve spostamento verso una pizzeria locale dove amngiamo al volo una pizza, dalle dimensioni gigantesche, l’ultima, prima dell’avventura che andremo, da li a breve, a dare inizio. Si parte in direzione Genova; percorriamo quindi la famosissima “serra valle”, veramente spettacolare, all’inizio, nei pressi di Tortona per via delle risaie che mai avevo visto, poi per la strada che inizia veramente a farsi “tosta” con curva dal raggio ridotto che inevitabilmente consigliano a fare attenzione alla guida a scapito del paesaggio delle gole ove scorre appunto il fiume scrivia. L’arrivo a Genova è questione di qualche minuto e le precise indicazioni ci fanno arrivare al porto di imbarco
con facilità. Immensa, per i miei occhi, la nave che ci trasporterà in terra tunisina, la fila per l’imbarco è già iniziata e si inizia ad assaporare il leggero strato di confine che separa il mondo occidentale da quello arabo. Facciamo dogana, ritiriamo i documenti di imbarco originali ed il successivo passaggio verso la stazione di polizia per i controlli di rito. Tornati al parcheggio in fila per l’imbarco, inevitabilmente si inizia a fare comunella con una coppia di centauri dietro di noi: un versis 650 targato inglese, e loro, una coppia che avremo modo di conoscere meglio successivamente a bordo, ultracinquantenni, maltesi, che altro non hanno fatto che saltare su un’aereo ed andare a comprare quella moto nel regno unito. E’ ora di salire a bordo e dopo di esserci accertati che le moto fossero ben salde per affrontare il viaggio, prendiamo possesso della nostra cabina, che fortunatamente abbiamo in esclusiva. Inevitabile la doccia immediata, dopo 700 km di autostrada, penso che sia “dovuta”.

Cerchiamo per un po’ di prendere orientamento della nave, ben 7 piani e tutto è per i miei occhi nuovo e piacevole; caratteristica la città di Genova, che , dai monti si “spalma” fino al mare. Dopo circa un’ora di ritardo, iniziamo a muoverci, sappiamo che comunque, dovremo trascorrere 24 ore a bordo.

03.05

Arriviamo a Tunisi nel tardo pomeriggio, caotica la fila all’uscita della nave, ci dirigiamo verso la dogana e subito veniamo presi in “consegna” da un’omino locale che ci guida nella procedura di presentazione dei vari documenti presso i vari sportelli. In nessun posto al mondo si fa niente per niente ed inevitabilmente l’omino richiede i “diritti di agenzia” cercando di snobbare gli spiccioli che avevamo in tasca; alla fine, dopo aver ricevuto oltre 6€, se n’è andato quasi dispiaciuto. Ci dirigiamo al centro di Tunisi attraversando un lungo tratto di strada che divide il mare dal lago di Tunisi con un vento infame che ci impegna nella guida. Il centro della città moderna è molto bello, molto occidentale nel gusto, frequentato molto da gente giovane e chic; sono rimasto sorpreso, mi aspettavo un paese molto più orientale. Riusciamo a breve a trovare l’albergo nelle vie adiacenti a quella centrale, mettiamo al sicuro le moto in un
parcheggio custodito e prendiamo possesso della stanza. Usciamo per la cena che andiamo a consumare in una specie di bar: kebab e doppia porzione di dolce, con il terrore offerto gentilmente dal Bradipo, di aver contratto una dissenteria per aver mangiato l’insalata che accompagnava il kebab.

04.05

Ci svegliamo come da routine quotidiana e solo dopo aver fatto colazione ci rendiamo conto che qui gli orologi andrebbero regolati indietro di un’ora. Facciamo un giro in centro in attesa che aprano i negozi per acquistare un numero telefonico tunisino e cambiare dei soldi. Finalmente si parte, subito a costeggiare la parte nord del paese attraversando Bizerte, Cap blanc fino a Tabarka. Nota di rilievo, durante il tragitto cado ben 2 volte, la prima nei pressi di
Cap blanc in off, me la sono cercata, la seconda nel centro di un paesino a velocità prossima allo 0: frenando si è chiuso l’anteriore e sono finito a terra. In entrambi i casi le borse laterali hanno eliminato i possibili danni. Arriviamo a Tabarka, città ai confini con l’Algeria che si affaccia sul mare, già nota ai tempi dell’antica Roma perché in questo posto si raggruppavano le feroci belve che venivano usate nel colosseo: oggi di quei felini rimane qualche lontano parente, una nutrita comunità di gatti popola vivacemente il porto. Ceniamo in un locale di fianco all’hotel France, nota di rilievo: il cameriere è molto somigliante al personaggio di Nightmare!

05.05

L’intinerario del giorno è Tabarka, Le Kef, Table de Jugurtha, Kasserine, Gafsa; un massacro: oltre 400 km quasi interamente sotto la pioggia, affrontando strade sterrate, rotte, in costruzione ed un po’ anche asfaltate. Senza pranzo, arriviamo a Gafsa e ci diamo al lusso più sfrenato concedendoci un’hotel lussuosissimo 5 stelle plus per 37 € a cranio. Da rilevare la presenza notevole di forze di polizia e militari in numerosi posti di blocco al fine di controllare i flussi
con la vicinissima Algeria. Fulvio verrà presto denunciato dalle guardie del wwf: ieri ha rischiato di investire un cane sull’autostrada, oggi gli ha attraversato un gatto che aveva visto una lucertola dall’altra parte della strada, per poco rischia la collisione con un’airone (o cicogna?) in decollo ed infine una specie di pappagallo si suicida sbucando all’improvviso da un cespuglio e schiantandosi sul lato destro dell’africona: per fortuna avevo la visiera chiusa, altrimenti avrei inevitabilmente fatto una mangiata di piume!!

06.05

Sfiniti; ecco come siamo tornati. Lasciamo il lussuosissimo hotel e ci trasferiamo a Tozeur. Subito la prima grana: il tachimetro è andato e prego Fulvio di tenere la conta dei chilometri per non rimanere a secco. Subito i primi 100 km che ci separano da una cittadina oramai occidentale, impestata di tour operator e grandi alberghi di lusso, quasi che mi viene da dire: “che schifo”!
Fulvio contatta un suo amico tour operator che gentilmente ci offre una birra nell’hotel dove alloggia. Fra una birra e l’altra, il tizio, insieme al suo compare, quasi ci consigliano di cercare strade alternative a quelle che avevamo in programma perché troppo carichi e per niente esperti, nel frattempo, dopo aver prenotato un altro lussuosissimo hotel ci consigliano di fare un giro nelle oasi di montagna. Partiamo quindi alla volta di Tamerza, dove attraversiamo parte del famoso Chott quasi asciutto….; dico quasi perché, tentato dalla voglia di provare in off, dopo pochi metri mi sono insabbiato. Riprendiamo la marcia e saliamo verso le oasi, veramente suggestive, ci spostiamo successivamente presso la cittadina di Midez, famosa per i suoi siti di set cinematografici ed arriviamo, attraversando un lunghissimo altipiano alla città di Metaui, dove non si può non notare una chilometrica miniera che praticamente sposta le montagne da una parte all’altra. Ritorniamo a Tozeur, dove dopo aver tribolato un po’ con la chiave spezzata nel tappo della benzina, rimediamo una cena in un locale molto “locale” e torniamo diritti in hotel.

07/08.05

Sabbia, ci siamo!! Partiamo da Tozeur, diretti verso Douz. La tanto menzionata cittadina si presenta alquanto caotica, quasi tipica di una città orientale. Ci sono molte carovane di tour operator e tra i tanti turisti ci reincontraiamo con Eugenio, patron del Desartica, ed il suo compare che avevamo conosciuto il giorno precedente. Saluti frettolosi in mezzo al caos e, cercando di togliere dalle balle il solito inigeno che si appiccica offrendosi come guida, noleggiatorre
di quad o qualsiasi cosa possa ingolosire il turista. Lascio a Fulvio il compito di diplomatico in quanto lo spirito del calzolaio non si addice molto in questi casi. Mangiamo in fretta e furia un piccantissimo hamburger e facciamo un giro nel coloratissimo e speziatissimo mercatino locale. Sorpresa delle sorprese, scorgo numerosi colleghi, decido di conoscerne uno e scopro che costruiscono le loro umili calzature con la pregiata tecnica della lavorazione good-year. Salutiamo Douz e ci dirigiamo in direzione dell’oasi famosissima denominata Ksar ghilane. Qui Bibo è di casa, le numerosissime tracce che solcano il deserto circostante e si disperdono all’orizzonte, invitano all’avventura, ma non abbiamo
voglia di cercar rogne e non abbandoniamo il tracciato male asfaltato. Giungiamo all’oasi, molto affascinante, affittiamo 2 posti letto in tenda presso un campeggio e, una volta sganciate le valigie, ci dirigiamo al bar adiacente la pozza principale. Un thè alla menta è d’obbligo, sorseggiato osservando i turisti che fanno il bagno nella pozza. Facciamo amicizia con qualche finto berbero che si offre come guida o ci propone una passeggiata nel deserto a cavallo di qualche
splendido equino o dromedario. Uno di essi ci racconta di aver conosciuto Meoni e di averlo visto percorrere le dune che separano l’oasi da un fortino romano distante 3 km in 2 minuti. Pensavo: “…e che sarà mai? Domani mattina ci provo pure io, magari impiego 15 minuti, ma ci arrivo pure io” La cena al campeggio è misera: zuppa, insaltata ed un pezzetto ciascuno di pollo in padella; la fame è tanta, mangio un po’ di insalata ed inzuppiamo molto pane nell’unguento di cottura del pollo: mai l’avessi fatto! La notte è stata un tormento tra dolori addominali, scariche diarroiche e freddo bestiale. Il mattino seguente facciamo colazione ed andiamo ad affrontare l’ERG. Parte Fulvio, io subito a ruota…30 metri. Fulvio si ferma sulla sommità della piccola duna ed io dietro, sulla salita.
Fulvio riparte, io provo a fare la stessa cosa ma mi insabbio. Fulvio va ancora, cerco di disinsabbiarmi, quasi ci riesco, alzo gli occhi e Fulvio non lo vedo più: “dove cazzo è andato? Stava qui davanti….!”
Scorgo qualcosa che si muove tra una duna e l’altra, quasi come una tartaruga rovesciata che non riesce ad alzarsi, è lui! Provo a mettere la moto sul cavalletto, ma sprofonda: “……capito!......” spalanco il gas e re insabbio il mio transalp che a gioco fatto si tiene in equilibrio. Raggiungo Fulvio a piedi, tiriamo su la pesante africona e riparte. Dopo appena una duna e mezza “puff”, un’altra volta per terra, lo raggiungo e rialziamo l’africona. Riparte di nuovo, e di
nuovo, dopo un metro, ricade. Stavolta in contropendenza e la cosa è tribolata. Tolgo il casco ed il giubbotto ed in qualche modo la tiriamo su. Nel frattempo passano qualche gruppo di quad e qualche auto da competizione. Giriamo l’africona verso l’oasi, un paio di capriole ancora, ma riusciamo nell’intento. Ci dirigiamo al bar a bere qualche cosa, le parole del compare di Eugenio, alias Desartica, si sono avverate fino in fondo “con quelle moto lì potete fare solo che
palestra nel deserto”. Dopo aver bevuto un po’, decidiamo di girare negli spazi adiacenti l’oasi e con molta fatica, siamo riusciti a prendere un po’ di confidenza con la sabbia bastarda. Può bastare, non siamo in cerca di grane e vogliamo goderci la vacanza. Paghiamo il conto al camping e ci dirigiamo, tornando indietro, verso Matmata.
Arrivo stremato e stanchissimo, con dolori articolari sparsi. Mangio qualcosa all’hotel, prendo una tachipirina e vado a letto. Lascio a Fulvio il compito di visitare le case trodoglite scavate nella roccia che caratterizzano il paese. La sera non va meglio: cena quasi saltata, altra tachipirina e di nuovo a nanna: domani è un altro giorno, si vedrà

09.05

Piacevolissima sorpresa: sto bene. Partiamo alla volta di Tatouine. Arrivati in città troviamo subito l’albergo che ci ospiterà; dopo aver mangiato in una locale rosticceria, partiamo e raggiungiamo Chenini. E’ un’antica cittadina berbera caratterizzata da antichissimi granai fortificati ed abitazioni scavate orizzontalmente nella roccia.
Un ragazzo ci fa da guida e ci fa visitare l’ormai disabitato paese che nel 2010, a suo dire, sarà dichiarato patrimonio dell’umanita dall’unesco. I paesaggi sono incantevoli anche se oramai da un paio di giorni siamo abituati a questo genere davvero particolare; forse è per questo che, da queste parti, sono state fatte le riprese del film “guerre stellari”. Riprendiamo le nostre navi del deserto e raggiungiamo Ksar Ouled soltane. Qui ammiriamo i suoi stupendi ed
antichissimi granai siti nella piazza centrale, silenziosissima, tanto che lo sbattere delle piastre degli stivali sul selciato, sembra che turbi l’immensa qauiete. Torniamo a Tatouine e, dopo una magra cena, gustiamo delle eccellenti Corne de Gazelle presso una pasticceria, e, a seguire, doppia razione di thè alla menta, veramente ottimo.

10.05

Ci alziamo di buon mattino, abbiamo molta strada da fare. Una volta saldato il conto all’hotel ci dirigiamo verso la cittadina al confine della libia denominata Ben Guerdane, ma deviamo prima tagliando verso nord in direzione Zazis. Il paesaggio inizia ad assumere un’aspetto sempre meno desertico e chilometriche piantagioni di ulivo costeggiano le lunghe strade, diritte e pericolosissime sia per il manto stradale, che ben che vada è ricoperto da un sottile strato sabbioso, sia per il comportamento di guida delle persone.
Altro lago salato ai lati della strada e foto di rito. Si continua per l’isola di Jerba tramite un lungo ponte di collegamento dove apprezzo la brezza marina. Subito l’isola invoglia a mettere le ruote fuori dall’asfalto e complice un terreno sabbioso e compatto mi dirigo verso la spiaggia passando in mezzo a dei ruderi di qualche antico tempio.
La cosa ha dell’assurdo, tanto che ci sbrighiamo a fare un paio di foto e ce ne andiamo alla svelta, con un po’ di preoccupazione perché un’elicottero dell’esercito sorvolava a bassa quota. L’isola è fortemente pattugliata da forze di polizia presenti in ogni incrocio.
Continuando il giro perimetrale, scorgiamo strutture infinite di hotel e resort, numerosissimi quad in affitto e schiere chilometriche di cavalli e carrozze pronti per partire a portare a spasso i turisti, probabilmente numerosi nella stagione estiva. Arriviamo ad Ajim, facciamo pranzo con un’orata freschissima alla brace e prendiamo il battello che ci porterà ad El Jerf. Riempiamo i serbatoi, ci aspetta un’altra lunga chilometrata fino a Sfax. Vi arriviamo in tarda serata,
quasi sfiniti, non tanto per il chilometraggio, ma per la tensione della guida a causa dell’imprudenza e dell’alta velocità che in genere usano da queste parti.

11.05

Optiamo per una giornata soft. Ci alziamo abbastanza tardi e dopo la consueta colazione decidiamo di fare un giro nella medina.
Esternamente le mura della vecchia città sono perfettamente conservate ed ampi ed accurati giardini ne amplificano la bellezza. L’interno è quello che è: viottoli angusti e stretti, infestati da micro negozietti che vendono ogni genere di cose con un viavai continuo di gente di ogni colore e ceto sociale. Forse perché ci aspettavamo qualcosa di più caratteristico, decidiamo di prendere le moto e di andare alle isole Kerkennah. A differenza di Jerba queste isolette sono molto gettonate dal popolo tunisino. Vi si arriva dopo circa un’ora di traghetto, sono lunghe una ventina di chilometri e si nota una forte crescita edile. Vi troviamo per nostra gioia ampi spazi sabbiosi e sodi, spesso a ridosso della riva: un’eccellente parco giochi dove le t 63 ci permettono vistose e divertentissime derapate anche a velocità elevate mantenendo un’ampio spazio di margine di sicurezza, sensazione nuova e molto divertente. Ritorniamo verso la zona di imbarco, l’ultimo traghetto è alle 18.00 e a malincuore, molto a malincuore, lasciamo il parco giochi.

12.05

Si riparte: con tutta calma, controlliamo i livelli dell’olio ed ingrassiamo le catene, non è che abbiamo molta strada da fare, ma dobbiamo farlo. La prossima meta sarà El Jem. Giunti a ridosso della cittàdina, notiamo il maestoso anfiteatro romano, praticamente la copia del più comune colosseo romano. E’ ben conservato e nonostante l’abbiamo costruito noi, ci fanno pagare il biglietto d’ingresso per la visita. Trascorriamo circa un paio d’ore all’interno, spaziando
dalle “gradinate alte” fino ai sotterranei…chissà quelle possenti mura quante storie avran da raccontare! Usciamo e dopo aver bevuto un po’ d’acqua fresca presso uno dei tanti chioschetti circostanti, ripartiamo in direzione KAIROUAN. Vi giungiamo percorrendo una strada asfaltata piena di grossi crateri (o forse una strada sterrata con qualche striscia di asfalto qua e là?), senza le nostre moto non so se e in che condizioni vi saremmo arrivati, oltretutto il t 63 ha avuto
il suo motivo di esistere. Troviamo, grazie alla lonely planet, un mesto albergo quasi al centro della città, vi troviamo all’interno del ristorante un’uomo d’affari connazionale, sicuramente intento ai pregiati tappeti prodotti nella zona. Decidiamo di fare un giro nella medina. Un’autentica bolgia di bancarelle, profumi, colori e chiasso dei commercianti che ci tirano da una parte e dall’altra. Troviamo rifugio in una fornitissima pasticceria dove facciamo razzie di
biscotti che sgranocchiamo durante il percorso. Acquisteremo qualche souvenir, una cosa che avevamo deciso di lasciarci per ultimo al fine di viaggiare più liberi. Cala la sera, e con essa un velo di malinconia, siamo consci che la vacanza sta giungendo al termine e presto toneremo al nostro tran tran quotidiano; beviamo, per dimenticare, un paio di the in un bar locale, tra i fumi aromatizzati dei numerosissimi arghilè.

13.05

Si riparte, destinazione Kelibia. Vi giungiamo percorrendo una strada molto transitata da mezzi pesanti ed il viaggio è stressante;
numerosissimi sorpassi sempre a rischio, continue fermate per la consultazione della mappa e qualche “improvvisa” sosta per fotografare la testa del cammello appesa all’esterno delle numerose baracche/ristorante, mi innervosiscono al punto di richiamare il Bradipo con toni da “calzolaio”. Troviamo l’hotel che ci ospiterà e, subito dopo, andiamo a vedere un’antica fortezza originariamente bizantina posta su uno sperone a ridosso del mare. Dai suoi bastioni si gode di un panorama straordinario e molto ampio, tanto che l’orizzonte sembra curvo. Verso terra la vista spazia su un’immensa distesa pianeggiante. Troviamo una guida che ci fa visitare la moschea, oramai abbandonata, le prigioni sottostanti, gli alloggi dei soldati ed i resti di un’antico piccolo borgo bizantino. Ci riposiamo qualche minuto sopra un muraglione all’esterno, mirando all’orizzonte la sagoma dell’isola di Pantelleria e gustando la brezza marina.
Mangiamo qualcosa presso una specie di pub e andiamo successivamente a sorseggiare l’ennesimo thè in un locale dal gusto antico ma molto chic.

14.05

E’ triste preparare la piccola valigia da usare in nave, ciò indica che la festa è finita. Ci dirigiamo a Cap bon, ventosissimo luogo, talmente tanto che conto la bellezza di 64 pale eoliche. Il paesaggio è bello, caratterizzato dalle numerose anse della costiera rocciosa. Proseguiamo lungo la strada che costeggia e ci dirigiamo in direzione La Marsa. Passiamo a salutare ulcuni miei concittadini che oramai da oltre un decennio lavorano qui. Dopo aver finalmente gustato
un caffè degno di nome, facciamo un giro presso i locali della fabbrica: un misto di sensazioni mi avvolge, dapprima il ritrovato abitat naturale con l’odore di pelle e cuoio, poi subito a seguire un velo di tristezza che mi fa pensare che lunedì sarò nel pieno del lavoro. Piove, ci tratteniamo ancora qualche minuto ed, un mio concittadino, è così gentile da accompagnarci presso le rovine dell’antica città di Cartagine. Per ovvi motivi di tempo, visitiamo solamente le rovine delle terme, a ridosso del mare e dell’imponente tenuta presidenziale fortemente vigilata. Ci rimane il tempo giusto per una rapida visita alla rinomata località di Sidi Bou Said, mangiamo un paio di gustosi panini per una cifra veramente irrisoria, sorseggiamo ancora un paio di thè e ci dirigiamo mesti mesti verso il porto. La nave è già lì che ci aspetta, le pratiche doganali, confuse e caotiche, vanno un po’ alle lunghe, saliamo in cabina ed andiamo a dormire cullati dal dondolio della nave che salpa.

15.05

La giornata trascorre normalmente, a tratti noiosamente a bordo della nave. Facciamo il resoconto di questa splendida esperienza, positiva sotto ogni punto di vista e già si inizia a fantasticare sulla destinazione della probabile prossima. Arriviamo a Genova in tarda serata, siamo i primi a scendere, ci salutiamo, il Bradipo torna a casa, io pernotterò in zona.

16.05

Mi alzo all’alba e parto. I cartelli lungo l’autostrada mi confondono e sbaglio strada, arrivo comunque appena in tempo a prendere mia figlia a scuola: il suo sorriso, i suoi occhi lucenti, l’abbraccio forte forte…mi sembra anche un po’ cresciuta…salta in sella, sembriamo dei rom. La moto è stracarica, e con il suo inconfondibile borbottio come sottofondo, ci avviamo verso casa.