Tunisia 2009 - Emanuele Ferretti

Autore: Emanuele Ferretti alias Manè
Periodo: dicembre 2009 - gennaio 2010
Partecipanti: Emanuele Ferretti & Martina su Honda Transalp XL650V 2001
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“I viaggi si vivono non si raccontano. Questo è solo un granello di sabbia di un’avventura fatta di miliardi di emozioni, emozioni che difficilmente riuscirò a trasmetterti nella loro totalità e bellezza. Non dar retta a quello che scrivo, ma ascolta un consiglio: prenditi un momento, un attimo, un istante e parti; il mondo è un contenitore inesauribile di emozioni, sta a te andarle a cercare…”

Mi sono perso in Africa, mi sono infilato incautamente nel peggiore dei deserti, e non sono più riuscito ad uscirne. Diceva qualcuno che dal deserto non si torna mai indietro ed io pensavo alle immense distese di sabbia, ai chott, ai canyon degli ksar. Per questo mi ero portato dei tappi per le orecchie… per non sentire il richiamo delle sirene del deserto. Ed invece… 
Il 4 gennaio ero li, a Tunisi, a pochi passi dal traghetto convinto di essermi liberato dalla schiavitù dell’Africa, “Il deserto? Un lontano ricordo!”; macchine camion taxi scintillanti vetrine, tutto mi riportava alla vita di sempre: “Sono salvo, pochi passi e l’Africa sarà solo un lontano ricordo, una cosa da raccontare agli amici vantandosi di aver affrontato dune mangia motociclisti, o di aver attraversato il deserto a piedi e senza acqua…”. Pregustavo già il sapore della pizza calda e di una Nastro fresca servita sul balcone di casa insieme ai miei amici davanti alle foto tunisine, il tutto farcito da racconti di epiche imprese motociclistiche.

Si, quel giorno ero sereno, rilassato a tal punto che mi son lasciato andare ad una visita “sciopping” nella medina di Tunisi. Maledetti! Maledetti i miei amici che mi hanno convinto ad andarci, e stupido io ad abbassare la guardia, il nemico è sempre lì, pronto a sferrarti il colpo mortale, ed io quel giorno ero disarmato, accidenti. 
Primi metri nella medina, un trionfo di colori, paradiso per i miei occhi mai sazi di sfumature e di colori vivi, tripudio di odori e di fragranze, un bordello di mercanti che fanno di tutto per farti entrare nei loro negozietti (che palle!). Incontro il Bostro, sigaretta in bocca, occhiali da sole e guida in mano, meticoloso ed attento nella scoperta di questo nefasto luogo. Due parole, due cazzate come sempre, con lui parlare seriamente mi viene molto difficile nonostante sia una persona di grande cultura. Lo saluto frettolosamente, l’appuntamento con gli altri è tra cinque minuti all’ingresso e noi siamo dalla parte opposta. La puntualità non è di casa dalle parti di Ascoli, e cosi mi tocca aspettare… “sono fermo sulla piazza che da sul viale principale di Tunisi, cosa vorrà mai succedermi?”. Marty va e telefonare a casa, io rimango con Alberto; Alberto è un ragazzo discreto, al contrario di me parla poco ma è sempre pronto a dispensare perle di saggezza (cazzate, ndr :-P). La nostra attesa è condita da molti silenzi, e non potendo muovere nessun muscolo (oh, so fatto cosi) inizio a muovere gli occhi. Osservo le persone, i loro vestiti, qualche jeans un po’ stretto che mette in risalto qualche curva niente male :-), stranamente lo sguardo inizia a salire, c’è qualcosa di strano, di solito non riesco a schiodare gli occhi da un bel sedere… 

Gli occhi, cavolo non l’avevo notato, queste ragazze hanno degli occhi bellissimi! Ne osservo una di sfuggita poi un’altra per qualche secondo in più e mi perdo: “No no Mané, che ti succede? Vorrai mica perderti qui? Molla, lascia, chiudi gli occhi, pensa al deserto, al volo, a qualche bel corpo di donna ma esci da quegli occhi!” provo a fare terapia di auto convincimento. Ci riesco per qualche secondo poi mi lascio abbagliare da un altro sguardo e mi perdo nuovamente… Sono li, in piedi come un soldatino, con le persone che mi passano a fianco ma la mente e lo sguardo sono altrove: sono prigioniero di uno sguardo, folgorato da un ammiccante sorriso, imprigionato dagli occhi di alcune ragazze africane; gli occhi, il più immenso dei deserti, luogo di perdizione per viaggiatori anacronistici, ultimo rifugio di romantici sognatori. 
Blatero qualcosa ad Alberto, lui ormai stanco di sentire le mie cazzate annuisce senza darmi troppo peso. Prendo la macchina fotografica e provo a scattar foto nella speranza che possano essere di qualche utilità ai soccorritori per venirmi a ritrovare, ma non ci riesco, lo sguardo di una donna è troppo profondo per essere fotografato, troppo immenso per riuscire a trovare la traccia del mio passaggio, troppo affascinante per riuscire a comprendere cosa vi si cela. Provo a cercare la strada per uscirne, mi perdo mille volte ma continuo ad insistere, dopo un po' mi arrendo e un po' come sulle sabbie mobili, pian piano mi lascio andare rimanendone imprigionato. 
Lo sguardo delle donne, il più grande ed affascinante dei deserti!

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Poi, poi arriva lei, lei che non ha uno sguardo profondo come quello delle ragazze tunisine, ma che riesce a riempire la mia vita ed a farmi sentire una persona speciale, lei che da un senso a questo mio vagare, lei che quando mi perdo sa sempre dove venirmi a cercare, lei che mi ha riempito di sberle tutte le volte che mi giravo a guardare una ragazza (stronza!). 
Affrontare un viaggio del genere con Marty è stata LA sfida. Non sto parlando di difficoltà ad affrontare chissà quale percorso, se è questo che volete leggere cambiate report, qui si parla di emozioni, sogni e paure, i racconti epici li lascio ad altri. La sfida dicevo, entrambi abbiamo un carattere forte: se da un lato questo può aiutare a superare delle difficoltà dall’altro questo fa si che i contrasti si risolvano spesso in furibonde litigate. La sfida di uscire dal tran tran quotidiano e andare in un luogo lontano dove ogni cosa si amplifica, dove anche un semplice raffreddore ti mette ko… non è facile.

Nei mesi precedenti il viaggio alcuni esami approfonditi avevano rivelato alcuni problemi a livello di ossa di Marty; Mano, il fisioterapista delle Forchette, da amico, motociclista e non per ultimo, medico, ci sconsigliava di partire in quanto il fisico di Marty rischiava di non reggere le sollecitazioni di un viaggio del genere. La toule ondulée… non c’ho dormito la notte pensando a come avrebbe reagito la schiena di Marty. 
Dubbi, pensieri, paure, perché dovrei vergognarmi ad ammetterle? Prima di partire tutti (chi più chi meno) se la fanno sotto. Ammettiamolo, tutti (uomini e donne) abbiamo l’ansia da prestazione solo che in molti non lo riconoscono. Ma la mia paura aveva vita dura contro il richiamo dell’Africa, un pensiero fisso, una serie di sensazioni che ti entrano dentro imbrattando tutto, a contaminazione avvenuta non puoi vivere senza! Dovevo partire!

“Ma come, torni in Africa? Non ti è bastato romperti una scapola, vuoi romperti pure l’altra?” 

“Guarda che non torno giù perché sono pazzo, ma perché sono malato!”

“Ah si, e che male avresti?”

“Mal d’Africa, mai sentito nominare?”

Sconsolato e rassegnato, il collega moralizzatore se ne era tornato con la coda tra le gambe nel proprio ufficio. 
Eh si, è dura far capire a chi non c’è stato cosa si prova quando si è laggiù. Tutte le foto del mondo, i video, i report non bastano a spiegare questo stato interiore, perché di questo si tratta. Il viaggio in Africa è un viaggio della mente prima ancora che del corpo, per questo si dice che non si torna mai indietro. Ma cosa mi sono fumato? Lo sapevo che non dovevo cambiare spacciatore.

I problemi con Marty sono iniziati ancor prima di partire, ovvero quando abbiamo iniziato a fare i bagagli: è stata una battaglia all’ultimo sangue convincerla a rinunciare ad alcune cose per viaggiare più leggeri, una battaglia persa ovviamente, anche se alla fine sono riuscito a convincerla a lasciare a casa la lavatrice :-PPPP. Pensavo alla Transalp, ai suoi oltre 79000 km e ai tanti giri su e giù per i fossi, pensavo a come alleviarle le fatiche di un viaggio non proprio rilassante… E’ strano, il legame che si crea con un mezzo dopo tanti km… ogni volta che la guardo, ammaccata, con la vernice rovinata e con i segni di mille battaglie, mi ripeto che è comunque un mezzo ma in fondo in fondo so che non è cosi, lei è la MIA transalp. Vederla carica mi fa pena, magari a Marty poteva far comodo avere la lavatrice dietro per fare un bucato tra un chott e una pista, ma a me sembrava già troppo averla caricata con due borse laterali morbide ed un borsone dietro. 

Con la moto carica, vestiti come degli omini Michelin, ed accompagnati dall’amico Claudio vestito tutto (ma proprio tutto) arancione (gli mancava solo il tatuaggio “KTM forever” sul cuore poi era perfetto) puntiamo i nostri tasselli verso Ovest. Passare a 5 km da casa dei miei e non fermarmi mi fa strano, farlo sapendo che mi aspettano 3000km fino ad arrivare al deserto mi scombussola lo stomaco. E’ una sensazione difficile da spiegare, ho sempre immaginato il deserto come un luogo lontano da casa e che non c’entrava nulla con il piccolo paese di Collefalciano, ora che non ci abito più, mi fa strano accorgermi che per andare nel Sahara si passa proprio di li (averlo saputo, partivo quando avevo ancora 10 anni).
La prima crociera in compagnia di Marty scorre allegramente in una cabina di 4 posti e 5 persone senza l’aerazione. Un tanfo assurdo in breve si impossessa della cabina, mentre Eugenio si gode la settima sinfonia dei russatori tassellati.
La nostra prima crociera prosegue il giorno seguente con un vivace (zzzz) briefing tenuto da Claudio.

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Dopo una fugace spiegazione del percorso (imparata a memoria il giorno prima per non fare brutta figura) ecco il momento delle regole, fondamentali in ogni occasione figuriamoci prima di un viaggio del genere: 
1) Di notte in Africa non si viaggia
2) Parlare il meno possibile
3) Non guardare le ragazze

Aspè, questo è quello che ho sentito io, ma mi sa che alla regola 1 devo averla capita male in quanto quello che abbiamo fatto è stato l’esatto contrario. Per le regole 2 e 3… che ve lo dico a fa? 

L’arrivo in Africa è qualcosa di unico, un mix di odori e colori indescrivibile. Odori, i primi che respiri sono quelli dei gas di scarico di Tunisi ma come ti allontani inizi a sentire quelli più intensi e veri dell’Africa, quelli delle spezie e dell’agnello alla griglia. Colori, quelli dell’erba che pian piano lascia spazio al marrone del deserto fino al bianco della sabbia sotto El Faouar e del sale dei chott, al rosso acceso dei tramonti. Inizi lentamente a metabolizzare questo mix, mentre la moto lentamente punta a sud. Cerchi di capire ma non ci riesci, fino al giorno prima parlavi di mal d’Africa adesso lo stai vivendo, senti che qualcosa ti mancava ma non sai cosa. Chi invece ha conosciuto l’Africa dai racconti, dai video, dalle foto inizia a capire che non c’aveva capito nulla, che questo luogo in realtà è molto più bello di come gliel’avevano descritto, che come dice Nuvola Rossa:”un conto è dille un conto e vissulle!”

Il vento inizia a soffiare impetuoso, mentre il sole fa capolino dietro le montagne. Manco a farlo apposta arriviamo in hotel di notte, una doccia veloce poi un pasto a base di chorba, pollo e harissa a volontà! Mi mancava!
Secondo giorno in Tunisia, la desolazione inizia a farla da padrone mentre gli occhi faticano non poco ad assimilarla. Primi km di pista:”Come si comporterà la moto? Ed io? Riuscirò a non cadere sulla sabbia?” Me lo sono chiesto per mesi, adesso è il momento di scoprirlo. La tentazione di forzare il passo c’è ma non mi lascio fregare. Eugenio cade in malo modo, per fortuna niente di serio, si riparte. Una casa nel nulla, una immensa distesa in una bellissima vallata poi una discarica a cielo aperto: una vergogna di cui tutti siamo partecipi. Arriviamo ad un wadi, Claudio si ferma, Eugenio parte Alberto lo segue a ruota, io disconnetto il cervello e do gas a tutta; risultato: 3 cadute in meno di un minuto. RECORD! 

L’arrivo il giorno seguente di Fleo non rompe gli equilibri del gruppo, anzi la sua esperienza c’è di grande aiuto per affrontare alcuni tratti un po' ostici. Provo invidia nel vederlo letteralmente volare sulla sabbia con il suo 690, mentre io sudo settanta camicie per tenere in piedi il transalp camperizzato ma senza lavatrice :-). Dopo il contatto ravvicinato con la sabbia il giorno precedente, la paura di cadere c’è, per fortuna l’esperienza pure e non mi è difficile sul greto di un fiume di fosfati, trovare i tratti più compatti. Bella la gola e divertente la relativa arrampicata, cosi come stupende sono le conchiglie fossili che vi si trovano. Ma la mia personale battaglia con la sabbia non è che all’inizio, sulla pista che si allaccia alla strada di Rommel lotto con il coltello tra i denti, anzi no, con il manubrio tra i denti, senza però commettere errori. Anche Marty non si lascia intimorire ed asseconda gli scarti della moto senza grossi problemi. Alberto dimostra la sua grande esperienza nella guida in gruppo aspettandomi sempre nei tratti impegnativi e segnalandomi i punti più tecnici: il suo aiuto si rivelerà fondamentale :-). In breve iniziamo l’ascesa sulla pista di Rommel, una strada davvero suggestiva dove lo sguardo spazia per km e km fino ad un chott.

Si respira un’aria strana, l’impressione è quella di poter vedere comparire da un momento all’altro tutta l’armata tedesca con i lori immensi panzer… 
Tunisia, paese dei contrasti: dopo aver valicato la montagna incantata ci troviamo di nuovo nel bel mezzo di una discarica a cielo aperto :-((((((((((( Rabbia, sconforto, disperazione, non bastano a descrivere il nostro stato d’animo di fronte ad un simile scempio. La cosa peggiore è che noi che veniamo da un paese “civile” dovremmo comportarci in maniera diversa, in realtà ci comportiamo come loro, con la differenza che noi sappiamo cos’è l’inquinamento, cosa provoca, e ce ne fottiamo bellamente consolati dal fatto di fare la raccolta differenziata (quei pochi che la fanno). Senza parole. 

Il marrone intenso della pista viene rotto dal verde intenso delle oasi di montagna. Un rivolo d’acqua si getta a capofitto in una tortuosa gola mentre una palma sembra protendersi in avanti, incredula che una simile opera d’arte sia opera di un cosi misero rigagnolo d’acqua. Noi imitiamo quest’ultima sporgendoci a nostra volta dalle rocce, e sbigottiti di fronte a cotanta bellezza, non possiamo far altro che scattare in silenzio qualche istantanea.

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Ancora meravigliati, ci rimettiamo in sella alla volta dell’oasi di Chebika.
Frotte di turisti, di fuoristrada, di bus invadono l’ingresso. Inizia a mancarmi l’aria, troppa gente, troppa confusione, troppi turisti, baaaasta! Ridatemi il silenzio del deserto! L’oasi merita senz’altro una visita, la sorgente, le pozze e le palme regalano qualche scorcio niente male, però… però per me è sempre troppo turistica, che ve devo di? 

Arriviamo a Tozeur che è quasi buio. Cerchiamo un posto dove dormire ma è tutto esaurito. Quando tutto sembra perduto e ci rassegniamo all’idea di dover dormire per terra, l’intraprendente gestore del campeggio ci trova una sistemazione a suo dire “di fortuna”: una bellissima casa con tutti i comfort e fregi di lusso in tutte le camere. Stiamo già facendo la raccolta del sangue per pagarla, quando il proprietario ci dice il prezzo: 20 dinari a persona! Senza parole! Io una casa cosi non l’avrei affittata manco a 100€ a persona.

Terzo giorno: Nefta, visita ad uno dei siti dove hanno girato il film Guerre Stellari. 20km di pista e primo vero contatto con la toule ondulée. Sento la moto che si smonta pezzo pezzo, le viti che mi salutano una ad una, le braccia che minacciano sciopero ad oltranza, il mononeurone che ballonzola da una parte all’altra del mio cranio vuoto implorando misericordia divina per tutti i peccati commessi e Marty che fa? RIDE! Cazzo, io sono lì, che imploro ogni singolo componente di non staccarsi promettendo dosi massicce di frena filetti al ritorno, che mi vendo pure l’anima al diavolo per uscirne integro, che mi preoccupo per la tenuta fisica di Marty e lei che fa? RIDE COME UNA SCEMA! Ma porca miseria! Niente, i problemi alla schiena sembrano svaniti, oppure è semplicemente impazzita… bho, valle a capire ste donne! Una duna di qualche metro vicino al sito, quale migliore occasione per giocare un po' e per… fare la prima figura di merda insabbiandosi miseramente?

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Ripartiamo, Claudio Fleo e Alberto percorrono una pista ad ovest del Chott El Jerid mentre Marty, Eugenio ed io saggiamente percorriamo la strada asfaltata che lo taglia in due. Regola vuole che sul chott non ci si vada con la moto, pena il rischio di finire cosi… ma il rispetto delle regole non è mai stato il mio forte, cosi decido di testare di persona la consistenza del fondo. La tentazione di partire, di immergersi in questo stuolo bianco latte è tanta, ma mi limito a percorre solo qualche metro.
Un paio di foto e si parte alla volta di El Faouar, dove ci aspetta Fathia, la moglie di Fleo. Il suo sorriso è qualcosa di indescrivibile, il suo viso dolce e sincero con quel suo modo di fare gentile e disponibile mi fa sentire a casa, è un toccasana dopo le fatiche dei giorni scorsi. Il tempo di sistemarci in casa e siamo in costume pronti per un bagno alle fameliche terme di El Faouar: 60°c di temperatura! Manco la coperta della Pina scottava cosi tanto! 

“Ma si, chissenefrega, buttiamoci! No no no, feeerma, che siamo pazzi? Questa scotta davvero, ma quale buttiamoci, con quell’acqua dalle parti mie ci si pela il porco, io non voglio fare la stessa fine! Voi siete matti, ma quale bagno?” E’ una questione di orgoglio (accidenti a me) devo infilarmici, anche solo per un secondo. Il mio corpo sembra liquefarsi, la mia pelle prende la consistenza di una medusa, i miei attributi… vabbè stendiamo un velo impietoso! Mazinga Eugenio si immerge fino al collo per alcuni secondi, finchè lo scudo termico atomico nucleare non gli si sbriciola e anche lui deve arrendersi: non c’è verso di fare il bagno. Usciamo dalle terme che trasciniamo la pelle, Marty invece saggiamente non si è bagnata nemmeno un dito ed è li fuori bella pimpante. Fleo, non soddisfatto di averci inflitto tanta sofferenza :-P, decide di mostrarci la sorgente e si infila in una pista con la sua Multipla a metano in configurazione Fleo e Marty davanti, Eugenio, Alberto, Claudio ed io stesi a mo’ di sacchi di patate dietro. Non so se siamo più pazzi noi che lo seguiamo o se è più pazzo lui che fa certe piste con la Multipla; nemmeno il tempo di pensarlo che la macchina si insabbia :-(((((. NOOOOOOOOOOOO!!!!!

Venendo in Tunisia, sapevo che avrei dovuto disinsabbiare moto fino a morire di stenti nel deserto, ma una macchina del genere nooooo!!! Ora, immaginate la scena: 4 poveri cristi, in costume, con le infradito e un paio di asciugamani, in mezzo al deserto che provano a spingere una Multipla!!!!!! Che scena orribile! La visita alla sorgente ci ripaga degli sforzi, una torre di una decina di metri ci regala una vista suggestiva sul deserto e sul tramonto che ci si para di fronte :-) La sera scorre allegramente con Claudio che rifiuta la avances di una procace tunisina, una succulenta cena, le danze, i balli, la festa per il matrimonio del fratello di Fathia. Un’esperienza unica, difficile da raccontare e da descrivere, un’esperienza che ci lascia senza fiato, ancor più della grappa bevuta in cima alla duna di El Faouar un’ora prima… :-)

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Primo giorno di deserto, quello vero. Primi difficili km di pista, una serie di meccanismi, automatismi, modi di guidare e di stare in cima alla moto tipici della sabbia, che non sono facili da comprendere e da attuare. La prima caduta, un volo di due metri, la moto che si pianta miseramente sulla sabbia molle, la fatica, il sudore, la rabbia, la sabbia leggera e sottile come farina che mi fa rischiare di cadere altre 50 volte: una tragedia! E’ dura, pensavo di cavarmela meglio invece sto tribolando peggio di un principiante. Fleo sbaglia strada, una due tre volte, la pista è stata cancellata dalla sabbia, ci fermiamo. Vado in avanscoperta iniziando a disegnare sulle dune traiettorie che ricordano quelle dei surfisti sulle onde, mi sento libero, non più il vincolo della pista, adesso vado dove voglio, via i binari, via ogni limite, solo le dune e lei, la mia fida transalp pronta a darmi l’anima. Il divertimento schizza ai massimi livelli, mentre la moto sembra sorridere entusiasta di fronte a questa nuova situazione. Con Fleo ci ritroviamo vicino ad un piccolo cucuzzolo, mentre della pista nemmeno l’ombra. Pian piano arrivano gli altri, ripartiamo verso est cercando questa benedetta pista, ma niente, torniamo indietro. 

Peccato, proprio ora che mi stavo divertendo… Adoro viaggiare nel nulla, mi fa sentire libero e mi da una forza incredibile, ci sei tu, la moto e il deserto: cosa cercare di meglio? 

La seconda figura di merda la faccio il pomeriggio, quando vado a prendere Marty ad El Faouar: arrivo alla piazza del paese e faccio il percorso fatto il giorno prima, seguo le tracce delle auto, proseguo dritto sx, dx, diritto:“dunque la casa è di là… no forse di qua… proseguo dx dritto dx e mi ritrovo nella piazza del paese. Oppps, mi sa che non c’ho capito na mazza, riprovo: vuoi che mi perdo ad El Faouar? Dunque di qua, no qui si gira a dx, dritto giro a dx e finalmente… sono di nuovo nella piazza! Oh porc####! Allora, la duna, quella me la ricordo bene nonostante la grappa, da li di sicuro ritrovo la casa di Fathia, eccola adesso vado verso nord, no non è qui, allora di la…” TELEFONO! E’ Marty “Amo ma che cazzo stai facendo? Sono tre volte che mi passi davanti?” “cazzo dici, ma se non ti ho visto?” “aspettami li che vengo a prenderti” Arriva Marty accompagnata da dei bambini con la pancia in mano dalle risate (‘stardi!). CHE FIGURA DI MERDA!

Il resto del pomeriggio passa tra una visita al festival dei berberi e una veloce ricognizione alla pista Douz - Ksar Ghilane. Il dubbio sulla fattibilità in due è alto, i primi km non sembrano malvagi, però sono 120km, in due e con un minimo di bagagli… non è semplice. La sera ci vengono in aiuto un gruppo di amici genovesi, in configurazione auto a noleggio, che si offrono gentilmente di accompagnare Marty con loro fino a Ksar. Una botta di culo, come capirò il giorno seguente!

Ci siamo, adesso non si scherza più, Douz – Ksar Ghilane, la tappa di deserto per antonomasia. Su questa pista si narrano molte leggende: si dice che quando la faceva Meoni sentivi sempre il gas a tutta, si dice che qualcuno l’abbia fatta in un’ora… parole solo parole, adesso è il momento della verità!. Cinque moto: un 690, un 950, un kle, due transalp; due veterani del deserto, Fleo e Claudio, uno che questa strada l’ha già fatta, Alberto, uno che in fuoristrada è la terza volta che ci va, Eugenio, uno che non gliene frega un cazzo di tutte ste menate basta che si parte, io. Due hummer ci sverniciano, mentre una coppia di veronesi con due mono si aggregano al nostro allegro trenino. Il caffè “La porte du desert”, un classico, un punto di passaggio obbligato, per me una delle tante minchiate per i turisti dell’enduro. Due chiacchiere con gli amici veronesi…“ahhhh, tu sei quel pirla che si è sfasciato la spalla lo scorso anno con Smontic? E ci sei ritornato? Hi hi hi…” mai dire chi si è veramente in Tunisia, il rischio di essere riconosciuti e presi per il culo è tanto. 

Si riparte alla volta del parco, e poi alla volta di Ksar Ghilane. Una foratura ci porta via un’ora, cerchiamo di recuperare il tempo perso, ma siamo a corto di energie perché saggiamente non ci siamo fatti fare nemmeno un panino, che geni :-). Avemmo voglia di fermarci ad ascoltare il rumore del vento, osservare sbalorditi la magia del deserto, questo vuoto che vuoto non è, captare la magia di questo luogo, assaporarne ogni singolo istante, ed invece dobbiamo sbrigarci e tenere gli occhi ben aperti sulla strada sempre piena di insidie. Il famigerato Biben, come le cascate del Gauntlet del film “The River Wild” ci incutono terrore e paura: sono giorni che ne sentiamo parlare, ce la facciamo sotto al solo sentirlo nominare: “Diarrea? No, ho paura del Biben! E poi c’ho sempre l’ansia da prestazione, che ci devo fare? Qua sono tutti bravi, hanno tutti delle moto toste, io invece sono una mezza pippa e c’ho pure il transalp!” 

Eccolo il Biben, una serie di dune un po' stronze, ma poi non cosi difficili, Smontic le avrebbe fatte con il CBR con una mano legata dietro, mangiando un dattero, che in cima alla duna ci sta! Noi invece ci infognamo più volte come pivelli (“erano un po' in difficoltà e quello col transalp stasera più che buttarlo in branda non ci fai…” diranno poi quelli col 4x4 a Marty). Eugenio, coraggioso e temerario come pochi, supera anche questo tratto; la fatica gli si legge in faccia, gli ripeto di bere e di prendersi una pastiglia di Polase, ma non mi da retta (un po' di orgoglio in meno secondo me non avrebbe guastato). Quando il peggio sembra passato mi insabbio stupidamente su una duna e sudo freddo in quanto la moto per alcuni minuti non da cenni di vita :-(((((((((((((((( della serie mai andarsele a cercare a 2000km da casa!

Eccolo Ksar Ghilane, è laggiù a 3km. Una deviazione al fortino, con Claudio Fleo e Alberto che salgono in cima senza troppi problemi, io… io ci lascio mezza E09 ma zampettando goffamente riesco lo stesso ad espugnarlo!

Eugenio è cotto, pronto per essere servito sul piatto; non so cosa lo abbia spinto a non mollare negli ultimi km, i più difficili secondo me, ma ha resistito: onore e merito a quest’uomo che non si è mai dato per vinto! Lo stavo aiutando a disinsabbiare la moto quando mi raggiunge uno con un Tenerone urlando: “JOE BAR!!!” “e tu chi cazzo sei?” “sono walterino, ti ricordi di me” “no, sono 6 ore che tribolo in mezzo al deserto è una fortuna se mi ricordo come mi chiamo io. Comunque, mi chiami Joe Bar per cui sei una forchetta, ma chi?” “Sono Walterino di Terni, ti ricordi? Eravamo insieme quest’anno alla Purverera, nel bosco di Meschia…” “cazzo, si, come posso non ricordare un compagno di battaglia? Si si, mi ricordo di te e di quel tratto bastardo nel bosco di Meschia affrontato insieme…” Un abbraccio fraterno, il suggello di una amicizia nata in battaglia e riscoperta a migliaia di km di distanza. E’ strana la vita, percorri gli stessi sentieri senza mai incontrarti, poi nel deserto a 2000km da casa ritrovi vecchi compagni di avventura… strana ma bella!

Il bagno nella pozza di Ksar Ghilane è quanto di più rilassante possa esistere: le fatiche, le paure, le tensioni della traversata scompaiono in un attimo, mentre il tepore dell’acqua a 30°c rilassa ogni singolo muscolo. 
30 Dicembre, tre anni che sto con Marty. Tre anni di discussioni e litigi, ma soprattutto di avventure e sfide, spesso combattute e superate insieme :-). Il deserto è il luogo più adatto dove passare questo anniversario, il posto dove fermarsi a riflettere e pensare alle sfide future… Verso le 6.30 ci alziamo e soli soletti ce ne andiamo a vedere l’alba nel deserto e a farci un ultimo bagno rilassante :-) Fleo ci lascia, salutiamo anche il guerriero Walterino e la sqwow, e ci fiondiamo in questa nuova sfida: la pista fino a Chenini. Primi km con alcune lingue di sabbia, le prime dune affrontate in due (che emozione!), una pista larga e piatta che sembra portarci ai confini della terra.

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Di nuovo asfalto, “fiuuu, il peggio è passato”, via diretti verso gli ksar, una zona paesaggisticamente favolosa, una sorta di gran canyon della Tunisia che ci lascia per l’ennesima volta di stucco. 
Il cavo della frizione cambiato prima di partire inizia a rompersi nel pomeriggio mentre ci perdiamo nel silenzio di vecchi paesi abbandonati ma di una bellezza unica. Decido di cambiarlo una volta arrivati in Hotel e mi raccomando con Claudio di evitare di fare piste. Problemi di comunicazione, un filo che non fa ben contatto, un segnale di fumo mal interpretato… bho, trovate voi la spiegazione, fatto sta che ci ritroviamo a fare una bella (uhè, si fa per dire) pista in notturna con il 30% di filo frizione rimasto :-( Sudo freddo, la paura di non vedere qualche buca, di cadere, di ritrovarsi senza frizione e di rischiare inutilmente di farmi male, mi fa passare un’ora di merda. Ho avuto paura! Sicuramente quella zona di notte deve essere stato uno spettacolo, ma in quella particolare situazione non sono riuscito a veder nulla che non fosse la pista, peccato! 

La diarrea miete altre vittime, stavolta tocca e me e a Marty. Decidiamo di rimandare la partenza di qualche ora mentre i nostri amici se ne vanno per piste. E’ mezzogiorno quando puntiamo i tasselli verso Douz dove passeremo il capodanno. Matmata – Douz, 200km circa: vuoi che non ci sia un benzinaio strada facendo? NO, NON C’E’! O avete benzina a sufficienza o vi tocca farla da quelli abusivi in loco oppure… 

Parto con 120km già percorsi, sicuro di trovare un distributore strada facendo. Dopo 250km percorsi l’indicatore inizia a lambire pericolosamente il rosso. Dai che tra un po' c’è un bivio, li trovo benzina di sicuro. No! Altro lungo rettilineo, capisco di aver commesso una cazzata ma ormai non posso tornare indietro e parzializzo il gas. Cavolo cavolo cavolo, non ci voleva, “coraggio Transalp non mi abbandonare. Lo so, ti chiedo l’ennesimo sacrificio ma ti prego, non lasciarmi a piedi!” mentre parlo con la mia moto mi piazzo dietro ad un pick-up per sfruttarne la scia. Douz -20km, il parziale segna 297. “Dai, non mi abbandonare, hai fatto già tanto, fai un ultimo sforzo, so che puoi farlo, in 80.000 non mi hai mai abbandonato!” 
Douz, km 0 parziale 317km! GRAZIE TRANSALP!
Anche stavolta hai rimediato alle cazzate del tuo pilota, grazie infinite.

Vedo due moto conosciute parcheggiate fuori da una pizzeria di Douz, sono quelle di Walterino e del suo amico. Una pizza e una birra finiscono nel mio stomaco in pochi secondi, mentre si discute sul da farsi: “Il festival è finito…allora? Che si fa?” - “Che domande, si torna a giocare sulla sabbia, vi indico io la strada… :-)”. In meno di mezz’ora siamo li, a pochi metri dalla pista Douz – Ksar Ghilane, a giocare, come i bambini, con lo stesso entusiasmo e la stessa faccia dolce ed spensierata… Enduristi: uomini fuori, bambini dentro!
Capodanno a Douz, capodanno di sorprese. Dovevamo essere in 7, eravamo in 18! Da nord a sud, da Codroipo (eh si, c’era anche il Bostro!) fino a Chieti, mezz’Italia rappresentata a tavola; vecchi amici, compagni di mille avventure, semplici viaggiatori passati di li per caso. Deserto sinonimo di desolazione abbandono vuoto… no, non qui!

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Primo dell’anno: giorno di partenza, si lascia il deserto per risalire verso nord. Ma quando hai a che fare con certa gentaglia, non sai mai come va a finire. …ed è cosi che invece di puntare verso nord ci ritroviamo verso Es Sabria a sollevare sabbia, a sudare sette camicie per arrivare in cima alla duna più alta per fare una foto ricordo. Sempre noi, i guerrieri delle Forchette volanti, i più casinari, i più scalmanati, quelli che non ne hanno mai abbastanza. Il primo dell’anno in cima ad una duna: quale miglior augurio per il 2010?

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Con grande malinconia salutiamo i nostri amici, carichiamo i bagagli e con un po' di rassegnazione puntiamo verso nord, stavolta per davvero. Fa strano risalire in sella carichi di bagagli, ormai Douz era diventata la nostra seconda casa, il deserto il giardino dove giocare con i nostri amici, l’harissa il piatto di pasta quotidiano. Lunghi rettilinei, qualche bel curvone affrontato a 100km/h, poi una nuova pista, delle gole che in realtà sono diventate un passo di montagna e un lungo rettilineo fino a Sfax immersi in un immenso uliveto.

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Mezzi assonnati aspettiamo l’imbarco verso le isole Kerkennah, ma la Tunisia è terra di incontri e chi ci ritroviamo: il solito Walterino! Orami non lo sopporto più :-PPPP ce l’ho sempre tra i piedi :-PPPPPPPP Pensare che solo all’ultimo minuto ha deciso di cambiare strada per andare alle isole, ad averlo fatto apposta non ci si trovava manco a morire. 

Isole Kerkennah, un piccolo paradiso, la ciliegina sulla torta di un giro ben studiato: un luogo tranquillo, dove si trovano ancora le persone che vanno a pesca con le barche a vela e dove, qui più ancora che nel resto della Tunisia, il tempo sembra essersi fermato. Semplice ed accogliente, il nostro Hotel, una piccola casetta di pescatori riadattata con gusto e semplicità, ci invoglia a rimanere. Dopo giorni di corse, km e km di piste, indossiamo un paio di jeans e lentamente andiamo alla scoperta di questo piccolo angolo di paradiso. Visitiamo un chott, una salina, infine il porto di pescatori.

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Ci gustiamo questo luogo lentamente, la frenesia dei giorni scorsi è solo un lontano ricordo. Ci facciamo coccolare dalla cucina di una signora che ci propone un (abbondantissimo) piatto di spaghetti con i frutti di mare e ci invita la sera a mangiare del polpo appena pescato, come ci mostra con orgoglio: come rifiutare?
Finirà, 7-3 per il polpo, nel senso che in 7 non riusciremo a finire 3 polpi, con grande soddisfazione della signora. 

Tempo di rientrare, non prima di aver fatto visita all’anfiteatro di El Jem e a rimanere senza fiato di fronte alla bellezza del cimitero sul mare di Mahdia. 
Claudio si accorge di aver forato nel bel mezzo del pranzo. Il fast fa cilecca per la terza volta, la pompa è ko e noi rischiamo di rimanere a piedi (è domenica). All’interno del ristorante scatta una gara di solidarietà: il ristoratore chiama tutti i meccanici fino a Sfax invocando persino il nonno estinto, un ragazzo sentendo quello che stava succedendo abbandona 3, dico tre, ragazze pure carine (chist è pazz!) per aiutarci a risolvere il problema, si fa accompagnare da un altro dei presenti alla propria officina e ripara la gomma di Claudio. Due dinari, di domenica, nel bel mezzo di un pranzo con tre ragazze: manco la mancia ha voluto! 
Meditate gente, meditate: chi di noi avrebbe l’avrebbe fatto?

Tunisi, la più occidentale delle città tunisine. Tunisi, luogo dove perdersi alla ricerca degli ultimi odori, le ultime fragranze, gli ultimi colori, prima di tornare mestamente a casa. 
Tunisi, la vacanza è finita, tra poco il mal d’Africa tornerà ad impossessarsi delle nostre menti, e già penseremo al prossimo viaggio, sbavando su cartine, racconti, foto. La nave pian piano ci riporta alle nostre vite di sempre, mentre scrutiamo gli ultimi lembi di terra africana: 
“Ci rivediamo l’anno prossimo!”, dico ad una parte di me, quella che è rimasta imprigionata laggiù per sempre, tra oasi e deserti!
Alla prossima
Mané