Tunisia 2010 - Andrea Lottini

Autore: Andrea Lottini alias The King
Periodo: 27 febbraio 2010 - 6 marzo 2010
Partecipanti: Andrea Lottini su Honda Transalp XL600V 1989/1993 e tanti amici Lisstaioli

Sottotitolo: Cio' che e' stato

La Tunisia... e chi l' avrebbe mai detto. Non riuscivo a togliermela dalla testa, così ho scritto un po' di impressioni, senza alcuna pretesa cronologica, nel vano tentativo di rivivere quest' incredibile esperienza. Si tratta di tanti brevi episodi, per non risultare troppo pesante. Spero così di non annoiare nessuno, nel caso "non s'è fatto apposta".

La chiamata alle armi

"Si è liberato un posto. T' interessa una settimana in Tunisia?" La telefonata di Dijetto arriva all' improvviso. Il periodo è complicato come sempre. Rapido inventario di quanto è pronto per un' avventura africana: quasi nulla. Non ho nemmeno il passaporto valido, ma c'è ancora un mese alla partenza.
"Allora, che mi dici?"
"Fabio, non ho il passaporto, devo parlarne in azienda, la moto è in rovina..."
"Mmmhh. Si, ci sentiamo tra qualche giorno. Ma sappimi dire!"

La TA 89 è vecchissima e trascurata. Càpita. Ci ho solo fatto dei giretti negli ultimi due anni. Forcelle da rinforzare, frizione andata.

Ma ad un' occasione così non si può dir di no, troppe volte ho rinunciato. Dunque via! Contattare Maxxx, la Questura, blandire il capo per le ferie; forse si può fare. OK. Andiamo in Africa. Ma si! L' ho sempre desiderato. Una settimana nel sud della Tunisia con la banda dei Listaioli che conosco da quasi dieci anni, guidati per giunta dal più esperto! Un sogno!

Passa il mese in compere e discussioni. Sadomaso, camel bag, aggeggi vari. Tra dubbi ed incertezze mi prendo un casco da cross serio. Mai acquisto sarà più utile...

Sul porto

Genova. Eccoli tutti lì. Bibo è sempre il solito, domina la scena senza darlo a vedere. Sul carrello svetta il suo Ktm 690 nuovo fiammante tagliato su misura per la sabbia, calzato con un treno di preziose Michelin Desert. C'è di meglio? Dubito. L' altro carrellato è Diws alias Franco da Trieste. Non lo conoscevo. Ha comprato apposta una vecchia XT 350. Normalmente ha un K 990, ma, da tipo intelligente e scaltro, ha cercato una motina più leggera ed efficace. Scoprirà di aver fatto un ottimo affare.

Facciamo le presentazioni con i personaggi che ci accompagneranno sulla jeep, una magnifica Toyota Patrol GR, vissuta, solidissima, a balestre, molto "africana" e dotata di tutto l' immaginabile. Il suo padrone, Filippo, è un curioso ingegnere meccanico di Milano dal sangue caldo. E' il fantomatico terzo socio di Maxxx. Si dimostrerà Un ottimo elemento, pronto a tutto e prodigo di attivismo.

Il copilota si chiama Marco, ha 27 anni ed è di Venezia, molto simpatico ed alla mano. E' un fotografo professionista, sempre allegro e disponibile, soprattutto quando c'è da rialzare per la trentesima volta un Transalp da terra e spingerne uno insabbiato fino ai mozzi.

Vale la pena raccontare come si sono conosciuti i due per capirli meglio. Un annetto fa entrambi erano di ritorno dall' Inghilterra. Marco ebbe un' avaria al cardano della sua GS1200 verso Dover. Era lì a trafficare, gli si avvicinò Filippo per aiutarlo. Si mandarono cordialmente all' inferno appena scoprirono che parlavano entrambi l' inglese con l' accento italiano, e a quel punto Filippo, da generoso qual è, gli offrì un passaggio fino in... Italia, moto compresa, che dovette essere opportunamente smontata per poterla issare a bordo del suo fuoristrada.

Stavolta Marco, oltre ad aver fatto le foto, si è anche sorbito la logorrea interminabile dell' autista. Meglio di Radio Tunisi.

Salutiamo i Liguri, il Lupo che rosica e Norby che fa lo scoop.

Tunisi e Gabes. Il Maghreb.

La nave ci scodella a Tunisi in relativa fretta, visto che gran parte del viaggio passa dormendo e sparandole grosse.

L' inflessibile Bibo è già lì con lo scudiscio della tabella di marcia. L' esperienza gli ha insegnato che bisogna frustare gl' indolenti, prima che si perdano con equipaggiamenti cui non sono troppo abituati. Ci sono da fare 380 Km di asfalto fino a Gabes, e non c'è tempo da perdere.

La capitale accoglie gli stranieri con il faccione del Presidente tunisino, che del resto ci aveva già dato il benvenuto pure sulla nave.

Siamo circondati dagli onnipresenti ritratti di questo statista, e sperimentiamo la guida creativa dei tunisini. La jeep apre la strada, le moto seguono a mò di pulcimi dietro la chioccia.

Non capisco perchè agli infedeli non sia dato di conoscerne il nome di colui che regge la Tunisia: tutte le didascalie sono in Arabo. Fortuna che almeno i cartelli stradali sono anche scritti in Francese.

Tornando all' Immagine del Capo, la posa è più o meno sempre la stessa, rassicurante, paterna, con la mano levata ad indicare la via, ma non come le legnose statue di Lenin. No, questo appare più amichevole.

Abbastanza noioso. In Marocco dimostravano maggiore ironia: il Re si adeguava al luogo. Nei bar era ritratto Hassan II che, cerimoniosissimo, sorbiva il tè. Negli uffici pubblici il Sovrano era immortalato seduto alla scrivania a vergare un documento ufficiale, e così via.

Si incontrano persone gentilissime che fanno mostra del loro Italiano e personaggi strani. Gente che tira il ciuco in autostrada. Dromedari finti nelle città, dromedari veri in campagna che ti guardano con la loro espressione ebete.

Torme di bambini che, passandogli davanti, vanno in delirio solo perchè vedono una moto vagamente da enduro e ti gridano "Monsieur!! CROSS!! CROSSS!!" e ti fanno il gesto di chi impenna. Uomini in età da lavoro palesemente disoccupati. Non è dato di sapere se per scelta o per mancanza di opportunità.

Disordine, sporcizia, caos, dovunque si volga lo sguardo, quasi che fosse inevitabile. Periferie invase da sacchetti di plastica sparpagliati dal vento. Bottiglie rotte ovunque. Troiaio. Eppure, da occidentale, ti dichiari convinto che la cultura, l' organizzione, il lavoro, la coscienza civile, l' interesse individuale regolato dalla legge, potrebbero migliorare il disordine fatalista in cui versa questa regione fedele al motto inshallah. Lo sai te. Ma loro? Se ne rendono conto?

Grand Hotel Sidi Driss ovvero come sfatare il mito di Star Wars

Matmata. Chi, nel '77, vide Star Wars e si soffermò sui titoli di coda, forse ricorderà che parte degli esterni vennero girati in Tunisia. A Matmata, per l' appunto. E' un posto bellissimo, fascinoso, brullo eppure vario. Paesaggi rocciosi in vari toni di rosso. Perfetto per il Technicolor. Ci fermiamo presso uno spiazzo da cui si accede all' Hotel Sidi Driss. Esso, a quanto pare, era stato usato quale bar malfamato del porto spaziale in cui avviene l' incontro tra Luke Skywalker e Han Solo.

Ci sono ancora alcuni relitti delle scenografie di allora. Vale una visita, entriamo. Stanzette e stanzine. Nel film il posto pareva più arioso. Boh, sarà il solito problema che sono troppo alto. Il silenzio del deserto rimarca l' impressione di luogo abbandonato e trascurato, come un vecchio cimitero da cui perfino i morti sono scappati.

Se questo locale, invece che in Tunisia, si fosse trovato, che so, in un anonimo paesino del Texas, gli Americani ne avrebbero fatto una specie di sacrario, un monumento al marketing e al merchandising cinematografico. Qui no. Tutto molto alla buona. Ingresso libero. Se proprio uno vuole, mezz' Euro al tizio che ti ha detto che lì dentro hanno girato un film famoso (quello intanto avrà comunque guadagnato la giornata).

Ma attenzione, mezz' Euro, ma donato ed accettato con dignità tutta Africana. Guai a umiliare questa gente. Del resto siamo in casa loro, e tutti i tunisini si sono sempre dimostrati più che gentili, poliziotti compresi.

Posso dirlo. Ad un certo punto, ad un incrocio fuori città, ero in fondo alla fila, e sono stato fermato senza motivo. Insospettito, accosto e spengo il motore. L' agente, in Francese, molto tranquillamente voleva solo sapere da dove venivamo, dove andavamo e per dove passavamo, ma in fondo voleva solo fare due chiacchiere.

La vasca del gatto

Il primo impatto con la sabbia africana è molto ravvicinato. Sterzo che si chiude, moto che si abbatte e pilota che ruzzola in una bella nuvola polverosa. Se accade a bassa velocità si ride e si riparte. Se succede arrivando veloci, sono guai, specie quando i bordi della vasca sono di terreno duro e ci si sbatte contro. Meglio portarsi dietro secchiello e paletta? Se ne ha il sospetto, dopo tre o quattro cadute.

La vasca del gatto intermezza le piste sassose del deserto, e si presenta come una conca lunga da pochi metri ad un campo da calcio, colma di rena fine, solcata in misura più meno profonda. Vi possono essere dune, cespugli. In ogni caso merita rispetto. Mai sottovalutarla.

Risucchia la ruota anteriore. Il TA ci sprofonda, e gli serve buona parte della sua potenza per trarsi d' impaccio in una marcia bassa, prima o seconda. Se lo sterrato ghiaioso poteva permettervi anche i 70 Km/h, davanti alla vasca è imperativo ridurre fino a passo d'uomo, ed affrontare la sabbia in accelerazione, con la forcella ben distesa, per quanto possibile. Sempre che uno se ne accorga in tempo...

Ho l' impressione che gli infortuni accorsi a Franz ed al Lupa siano stati dovuti proprio alle lingue di sabbia traditrici prese in velocità.

Solo il K di Bibo è abbastanza leggero ed ha sufficiente motore per distendere la forcella solo con un colpo di gas nelle marce lunghe. La TA grava troppo sull'anteriore, e, per essere stabile sui percorsi sabbiosi, deve correre. Sempre per la stessa ragione, può solo andare a diritto, tipo rompighiaccio. Non ci siamo. Troppo pericoloso.

Sanità tunisina

Franz arriva a Bir Soltane in jeep. E' dolorante alla cassa toracica, soffre molto. Ha avuto una grave caduta e probabilmente ha una costola rotta. Viene adagiato all' ombra dentro il locale su dei cuscini, mentre le persone si adoperano per chiamare l' ambulanza. Già. L' ambulanza.

Siamo in un punto sperduto del deserto tunisino, eppure, a presidiare l' incrocio stradale tra una pista malridotta e la pipe-line a nord di Ksar Ghilane c'è un poliziotto efficiente e gentile, che parla un ottimo francese ed è già in contatto con l' ospedale di Gabes. In poco più di un' ora, tempo che ha del miracoloso dato il loco, l' ambulanza arriva davvero, e Franz viene portato a Gabes per i controlli. Vanno con lui Bibo e Gegè. Questi ha già fornito la cronaca: inutile ripeterla. A me pare notevole che se uno casca di moto in un posto del genere (e se c'è una jeep che lo raccatta) possa avere la possibilità di essere assistito nel giro di due ore, a livelli più che dignitosi. Franz poi, sentitosi rassicurato, ha voluto seguira la combriccola, e Filippo, che intanto era venuto con noi fino a Ksar Ghilane, è tornato fino a Gabes a prenderlo. Alla fin della fiera poi ci siamo trovati alla pozza di Ghilane.

Noi in panciolle, come ad un bar di Rimini, reduci dall' avventura del fortino, Bibo e Gegè stressati dalla tensione e da 200 Km di strada al seguito di Franz.

Comprensibilmente erano molto nervosi per la tensione e la stanchezza. Per fortuna poi siamo andati a cena ed il giro di vino di Pipin79 ha stemperato l' ambiente, ed ha permesso di affrontare la pista per il campo tendato, cui siamo giunti nel cuore della notte, alla faccia delle vasche del gatto e della pista che non si trovava.

Il luogo del mito. l' oasi di Ksar Ghilane

Mi sono spesso chiesto come avrei dovuto immaginarmi questo posto.

Certo, ora la strada che vi accede è un' ottimo e facile rettilineo asfaltato, non vi sono più difficoltà, basta andare verso sud e, pure in Rolls Royce, è possibile fermarsi e raccogliere una manciata di sabbia del Grande Erg Orientale, il più grande deserto del mondo. Gente, pensateci, è qui, tra queste dune color ocra, che sono nate le leggende delle carovane di beduini sui loro dromedari fino ai presidi e alle marce della Legiòn Etrangér. Qui, tra queste magnifiche sfumature rosse che all' alba ti si offrono alla vista, impreviste e fuggevoli quanto può esserlo il primo raggio di sole. Cambia la luce e cambia il colore della sabbia, come la sua consistenza. Qui comincia il deserto, qui, a Ksar Ghilane. Valeva ben la pena esserci.

Ecco, l' asfaltatura non ha tolto il fascino del posto di frontiera, degli indigeni dall' aria indifferente, dei benzinai improbabili, dei dromedari allo stato brado, della famosa "pozza" sulla quale galleggiano cose irriferibili.

Non tutto è perduto. Si può ancora venire qui e rimanere sinceramente stupefatti, anche se dalla vita si sono ricevute tali bastonate da pensare che niente più ci potrà meravigliare.

Come nell' altro luogo di confine che mi viene da associare a questo, Merzouga in Marocco, anche qui del deserto si avverte la pulsione, il potere, la voce. Il richiamo. Ma qui è più giovane e romantico. Ancora i pullman con i pensionati crucchi che cercano di ravvivare le loro scialbe esistenze visitando i luoghi "selvaggi" (ma stando ben arroccati in hotel con tutti i comfort) non si vedono.

Il Fortino. L' apoteosi del Lupa

Muoviamo alla conquista del fortino. Non sarà facile. La sabbia è soffice come non si è mai vista e, soprattutto, ne arriva sempre di vergine ed impalpabile trasportata da un vento poderoso. Eppure non si può perdere l' occasione. Branca Branca Branca! Imo sanza meta, Aquilante! Forza...mala bestia! E giù una sgassata per superare una duna! Il Fortino è davvero disperso in pieno deserto, a circa due Km verso nord-ovest. A parte il Lucido, nessuno di noi (oltre a chi scrive, Dijetto, e il Lupa) ha la più pallida idea di cosa significhi portare un TA nella sabbia soffice. Franco, con la sua leggerissima XT 350, si diverte per davvero, almeno lui. Noi sudiamo come le bestie! Ci si insabbia di continuo. Un cimitero! Eppure si va. Tutto in prima, gas spalancato a fondere il motore, più indietro possibile con il peso, ma la sabbia finissima ti afferra l' anteriore ed il posteriore solleva solo delle gran nubi di polvere. Ad un certo punto perfino la jeep sprofonda sulle quattro ruote fino a toccare il pianale: per liberarla occorrerà un' ora di lavoro.

L' attacco alla disperata prosegue. Gli insabbiamenti non si contano, ma siamo ormai sotto la piazzaforte. Il Lupa è talmente invasato che vuole farsi anche la rampa di accesso al forte, una salita impossibile! Piglia la rincorsa in prima, ha il culo di azzeccare il lato giusto del sentiero insabbiatissimo e ripido, tiene aperto come non mai (impossibile pensare di fermarsi a mezza costa) e... ce la fa!!!! Ora il Lupa troneggia davanti all' ingresso d' onore del fortino. Grande Lupa!

Il Lucido lo imita e due Listaioli si fanno fotografare davanti all' ingresso del Forte di Ksar Ghilane.

Filippo ha maggiori difficoltà a salire con il suo mostro 4000 cc 6 cilindri, ma non si è bauscia per nulla.

Non si capisce perchè il ritorno si riveli quasi una passeggiata. Eppure è così.

Ma non per il Lupa, che vede la propria TA scomparire dietro la balza di una duna tagliata in verticale. Non se l'aspettava, casca giù e rimane prigioniero sotto la moto, invisibile agli altri che seguono. Lo scorge solo Dijetto, per caso. Gli passa accanto, e con la coda dell' occhio vede un tizio che gli fa ciao ciao con la manina. A quel punto Fabio ferma la sua TA e si sbraccia per avvertire gli altri, che non lo mettano sotto. In effetti poco prima era passato un camion 6x6 Tatra che sarà pesato 50 quintali...

Il Campo di Zmela Lebrissa. Un' oasi di civiltà e oltre, il nulla

Eravamo arrivati al campo tendato di Zmela Lebrissa verso mezzanotte, al termine di una lunga giornata. La sveglia al mattino e la luce del giorno, rendono finalmente giustizia alla bellezza del luogo. Una decina di tende piazzate a mezzaluna da un padiglione entro cui è allestito il ristorante. Di fronte, a 50 metri, i servizi. E' tutto molto semplice e spartano. Non c'è la minima traccia nè di quello squallore nè di quella sciatteria che invece pervadono tutti gli angoli del Nord Africa antropizzato visto fin qui. Niente è lasciato al caso. Cucina di ottimo livello. Una vera e propria raffinatezza sono i cestini del sudicio: nessun maledetto bidone di plasticaccia a rovinare la scenografia, ma vecchie anfore in coccio che tutte le mattine vengono svuotate. Perfino i posaceneri sono ciotole in terracotte posate su treppiedi in ferro. Ci sono state fornite lenzuola fresche. Una favola.

E intorno... e intorno, da sud ad ovest a nord-ovest ci sono dune a perdita d' occhio. Dune alte due metri e passa. E' il Grande Erg, che sconfina in Algeria, il deserto più esteso che si conosca. Con la luce del mattino presenta delle sfumature mozzafiato. E' un emozione trovarvici di fronte, sentirlo, ascoltarlo. Già, il famoso fruscio dei granelli di sabbia mossi dal vento, il canto del deserto di cui si legge nei libri.

Stare qui, passarvi le serate, dormirci, fa parte del piacere di questa vacanza. Per conto mio, niente vale quanto questa tenda, in cui si insinua la sabbia, e da cui conviene squotere lenzuole e coperte prima di sdraiarsi. Fa parte del fascino.

Si è mai vista una tenda a tenuta stagna? Sarebbe un oltraggio. Dijetto dorme con la faccia in mezzo ad uno spiffero. Una bella mattina lo trovo che pare la maschera di Tutankamon. Tutto rosso dorato, lui con quella zucca. Sul cuscino rimane la sagoma bianca della sua testa.

Illuminazione della tenda: una candela cacciata in un sottovaso di coccio pieno di sabbia. Tutti oggetti semplici, umili, ma senza sbavature. Il locale refettorio è fresco, arieggiato, ombreggiato. Perfetto. Non so chi abbia messo mano a questo campo, ma chiunque sia stato sa il fatto suo, per come l' ha fatto e per come lo gestisce.

Da consigliare. Sarà presente sulla guida Michelin? Che Dipartimento di Francia è l' enclave di Zmela Lebrissa?

La vecchia pista di Guermessa. Il volo.

Ora è il momento del GPS. Questa pista pare sia andata in disuso per la vicinanza di una strada asfaltata. In effetti è così. Capita più volte che Bibo, insieme a Gegè, se ne vada in esplorazione con il gruppo in attesa.

La pista di Guermessa è dura, difficile, presenta un terreno che cambia continuamente, è molto insabbiata, sparisce completamente, riappare 200 metri più in là. Si rischia, e alla lunga può mancare la lucidità.

In un momento simile ne combino una grossa. Sabbia profonda inframezzata da cespugli e rocce. Terreno infido. La TA va dove vuole, non la controllo. La moto sbanda a tribordo. Il mio metro e novantacinque di statura non mi aiuta a riprendere l' assetto. Il manubrio troppo basso non mi permette di arretrare il peso come dovrei. Il risultato è una scarsa stabilità.

Non posso far altro che spalancare il gas (sono in prima) per riallineare il telaio, e cercare di arretrare ancora, ma non basta. La moto sta puntando contro un coriaceo cespuglio che sporge di mezzo metro dalla sabbia. A quel punto mi alzo in piedi il più possibile preparandomi al salto, ma all' ultimo momento mi manca il cuore di tenere il gas aperto per volare con tutta la moto. Accade l' inevitabile: l' avantreno supera lo scalino (sante molle Wilbers!!!!), il retrotreno invece ci rimbalza sopra e mi catapulta in orbita. Il TA rovina di sotto dal cespuglio e piomba sul cupolino. Io casco 3 metri più avanti a pelle di leone, gambe e braccia aperte, battendo una gran musata sulla sabbia dura.

Solo il becco del casco da cross e la mascherina Scott mi salvano faccia e denti. Mi rialzo, un po' scosso... chissà come sarà ridotta la moto dopo un volo del genere... invece quasi nulla. Il cupolino si è girato verso destra, sono saltati gli attacchi delle carene, gli strumenti sono un po' sghimbesci, ma funziona ancora tutto. Forcelle diritte...Il plexiglass è integro. La robustezza di queste moto ha dell' incredibile... Intanto Gegè, che seguiva a pochi metri e ha visto tutto, si è fermato e mi ha già fatto il check-up. "Che culo che c'hai. Sei tutto intero!" Arriva la jeep, Filippo scende e, come una furia, piglia la moto e raddrizza, stiracchia, rattoppa, e dopo dieci minuti di lavoro con il nastro americano mi mette già in condizioni di ripartire. Il Lucido ha intanto già cambiato la leva della frizione, saltata anche quella. Se non è lavoro di squadra questo... Il moncone della leva freno funziona lo stesso.

Forse per l' emozione, poco dopo essere ripartito, trovo anche il sistema per perdermi. Altro insabbimento. Ripartenza e, come un cane da tartufi, vado alla cerca delle tracce degli altri. I quali, per fortuna, si erano fermati perchè la pista era scomparsa di nuovo e gli scout Bibo e Gegè erano andati in avanscoperta. Che giornatina...

Riparazioni nel deserto

La pista di Guermessa, tra gli scampati infortuni e gli infiniti insabbiamenti, ha messo a dura prova tutto il gruppo. A furor di popolo si decreta che il giorno seguente lo si passi al campo a rimettersi in sesto. La mia TA deve essere risistemata per davvero. Con quelle carene semidistrutte tenute insieme con lo scotch, sul touleè onduleè pareva una cassetta degli arnesi sopra un vibratore da cemento. La sabbia comunque abbonda anche attorno al campo: basta fare 50 metri e ci sono migliaia di Km ininterrotti di dune verso ovest. Il guaio è che poi uno si ritrova in Algeria, dove gli europei non sono visti troppo bene, ma questo è un altro discorso.

Dunque, che riparazione sia. Filippo, inutile dirlo, ha attrezzi da vendere.Lo smontaggio, sotto il sole ed al vento, richiede un paio d'ore. Ecco il guaio: nella caduta si è tòrto l' attacco del telaietto che sorregge il faro, e che, sul TA 600, àncora anche il cupolino. Rimedio: raddrizzare il pezzo storto. Con che?

Con il famoso pappagallo da trombaio, o cagna, di cui Filippo (e come ti sbagli) in macchina possiede un esemplare formidabile dal manico lungo un metro, capace di stritolare un monoblocco di ghisa. Nell' occasione il collega ing. mi mostra i ricambi che si porta in giro. In Africa, mi spiega, non si sa mai. Un kit frizione di scorta per il Patrol, cuscinetti ruota (degli ordigni pesanti un paio di chili) le crociere dei semiassi, le quali, volendo, usate come stelle ninja, si potrebbe combinare una rapina ad un trasporto valori. Mi mostra anche vari coltelli, coltellacci, toppe per gomme formato gigante, ferramenta varia. Di tutto.

Sistemato l' innesto che si era piegato, il telaietto portafaro torna al suo posto, come cupolino e carene. Con gli attacchi saltati via l' unico modo per farle stare in sede è usando il nastro americano. Terminerò il giro tunisino così.

Chi si sollazza sulle dunette attorno al campo, chi accomoda la propria moto, chi si riposa. Giornata di relax.

Dijetto prova il K 690 di Bibo sulla sabbia vera e gli viene la crisi di coscienza, come se avesse fatto le corna alla moto. Si, perchè gli è anche piaciuto, e lo rifarebbe. Per fortuna la distanza tra Civitanova Marche e la Brianza è un buon deterrente. Poi il Conte, transalpisticamente parlando, oltre alla "moglie" (la LC6) l' amante ce l' ha già. Si chiama Ktm 300 2T, la quale, da buona femmina focosa ma paziente, aspetta il suo turno in garage, desiderosa di quelle attenzioni che raramente le vengono tributate. Per fortuna i pezzi di ferro non si accapigliano tra di loro pur condividendo lo stesso garage, e non sono gelosi. O no?

Lupa ruote. La dannata fretta

Altro giorno, altra pista. Di nuovo le vasche di sabbia. Sempre infide, sempre pericolose. Questa volta la carovana corre, non si sa bene perchè, ma corre. Sullo sterrato duro e polveroso 80, 90 Km/h, quarta piena con pignone da 14 denti, all' imbrunire. L' incontro con i sabbioni è una vampa di terrore. Mi capita di entrarci in terza piena, a tutto gas, e non è simpatico sentire un motore da 50 Cv in potenza massima che perde i giri, nella morsa della sabbia. No, no, stiamo andando troppo forte... chi se ne importa se arriviamo di notte. Purchè si arrivi tutti e tutti interi. Il gruppo si allunga. Chi corre e chi rallenta. Il Lupa non fa in tempo ad accorgersi del pericolo che ha di fronte e cade, sempre per la solita lingua di sabbia.

Batte la spalla sulla terra dura. La protezione fa quello che può, e probabilmente fa molto. Arriviamo alcuni minuti dopo.

Luciano è ancora seduto per terra, la moto distesa. Si tiene la spalla destra, non riesce a muoverla. E' visibilmente spaventato e scosso. Se l' è vista brutta, e si sta chiedendo, come tutti noi, cosa possa avere alla spalla. Non muove l' articolazione. E' una piccola fortuna che tra di noi vi siano persone che hanno avuto esperienza di traumi alle spalle, e sappiano, più o meno, distinguere tra una lussazione, una contusione e una frattura. La cosa non sembra così grave. Quello che è certo è che la moto del Lupa se ne starà lungo questa strada, e lui sarà ospitato sulla jeep insieme a Franz.

La fretta... avevamo già deciso di moderare l' andatura prima dell' incidente di Luciano. Ne abbiamo avuto la riprova del pericolo insito su questi terreni. Ci aveva preso il demone. Eravamo come ebbri. Del resto in Italia è impossibile, a quel che mi è dato di sapere, trovare dei rettilinei sterrati in cui portare un bilicindrico fino a 120 Km/h.

Pazzesco. Poi siamo rinsaviti. Ma il Lupa era già caduto.

Arriba Espana!

La notte ci ha sorpresi al termine della Lupa Route. Siamo sulla strada asfaltata che ci riporterà verso il campo. Buio pesto, notte senza luna. Motori spenti. Una sola luce di posizione accesa per sicurezza.

Aspettiamo Filippo che ci riporti Luciano infortunato alla spalla. Ci sorpassa un fuoristrada con targa europea. Dopo un po' torna indietro e si ferma. Ne scendono un tipo prestante con un microfono in mano, una bella gnocca mora ed un cameraman con un canchero di macchina da presa con il faretto. Una troupe televisiva in piena regola!

Diego Abatantuono avrebbe commentato; "Ma come! Siamo in mezzo al niente, uno manca poco si ammazza, e ci trova la televisione! C'est paradossal!"

Il tecnico comincia a riprendere, l' intervistatore attacca ad hablar in castellano, più o meno raccontando di aver incontrato per caso, lungo una zona sperduta della Tunisia, un gruppo di motociclisti italiani provenienti da una zona selvaggia del deserto. Poi la telecamera inquadra le nostre facce stralunate. La situazione è davvero curiosa. Bibo, con la consueta professionalità lombarda, prende in mano la situazione e si fà portavoce, in italiano. Spiega, risponde, siamo questi, siamo qui per questo e quello.

La morettina è davvero notevole. Sorride. In un paese di donne velate, nascoste, murate in casa, una bella europea del sud, libera, scalda l' aria con la sua sola presenza.

Gli spagnoli sono simpatici, chiedono, si informano, indugiano sulle moto. Nessun problema di barriera linguistica. La LC6 arancio di Dijetto viene inquadrata a lungo. Special por el desierto! Come no... Se ne vanno, con il portellone della jeep spalancato, non si capisce se per esigenze di copione o per semplice dimenticanza. Hasta luego, amigos!

La TA 600. La moto affidabile

Il sottoscritto e Dijetto sono andati in Africa con due Transalp assolutamente di serie, costruite nel 1989 e nel 1993. Il mio motore, il secondo, adesso ha 47000 Km, quello di Fabio 125000 Km. Unico pezzo speciale: molle forcelle, Wilbers per me, WP per Fabio. Gomme T63. Basta. Io ero l' unico con il paramotore di serie in plastica, e forse sono stato imprudente. L' ho praticamente distrutto sulle piste sassose.

Gli altri, oltre alle special di Hammer e di Gegè, avevano cambiato almeno lo scarico. Noi due nemmeno quello.

Inconvenienti? Zero. Nemmeno il filtro dell' aria sporco! Non dico intasato... ma almeno sporco. Eppure non le abbiamo certo risparmiate, soprattutto il motore, la catena (sabbia, sabbia, sabbia). Io poi, con quella botta... Nulla. Nulla di nulla. Ma questo non significa che la TA sia il mezzo ideale per il deserto. Lo sarebbe, se si trattasse di terreno duro, ma sulla sabbia il peso gioca un ruolo troppo importante, e anche sgonfiando le gomme non si ottiene gran ché.

No, se ci sarà una prossima volta sulla sabbia, non sarà sulla stessa moto. Per quanto la TA sia perfetta per i trasferimenti, perfetta per gli sterrati veloci, perfetta per gli sterrati lenti rocciosi da prima e seconda (con il rapporto finale accorciato), economica e confortevole, sulla sabbia essa è fuori dal suo elemento.

I compagni

In realtà a motivare la scelta di farsi questa settimanina era, certo, l' Africa in moto, tante volte pensata, e mai tradotta in pratica, ma Il piatto forte era la compagnia.

Dijetto, il Fratello Berbèro di un precedente viaggio in Marocco, compagno di tenda e grande amico. Un figurino, elegantissimo, tutto coordinato, sempre e comunque. Del resto, sennò, che conte sarebbe? Ma com'è che la bandana delle foto è gialla? Altro motivo di stupore il fatto che sia riuscito ad andare di corpo senza i Tex. Una volta ha supplito alla bisogna la cartina della Tunisia. Così come i Tex, la carta stradale è servita durante, non dopo, s' intende.

Bibo, il capobranco. Ruvido e diretto, nerovestito, nero di pelo, ma non di pensiero. E' anzi una persona generosa, che nasconde dietro la maschera del cinismo, del sarcasmo e della rudezza un' indole insospettabilmente altruista. Professionale, esatto, affidabile, incapace di compromessi. Poi ci parli e, solo se gli gira, rivela parti di sé che, da buon lumbard, tiene nascoste a doppia mandata.

Gegè: doveva capire il deserto. Si è sempre dimostrato molto rilfessivo e cauto, diverso dall' istintivo fuoristradista che, meglio di chiunque altro, percorreva in scioltezza le pietraie della Via del Sale. L' ho visto estremamente rispettoso del nuovo ambiente, a lui ignoto. Emanava calma, quella calma di cui c'è sempre un gran bisogno. Ti dà sicurezza seguire le tracce di uno così.

Il Lupa. Come si fa ad avere sempre una battuta per qualsiasi cosa si senta dire intorno? Eppure certi individui hanno questa brillantezza. A tutta prima pare un tipo leggero. Però poi la frattura composta alla testa dell' omero se l'è tenuta senza dire beh per quattro giorni, e non aveva perso per nulla la voglia di ridere e far ridere!

Il Lucido. Incredibile come gente che conosci da dieci anni non finisca di stupirti per la loro positività. Quale esperto di sabbia era sempre ad aiutare coloro che si trovavano nei guai, sempre. E sempre con il sorriso. Mai una parola di traverso, mai una spinta data a collo torto, sempre entusiasta. Gli è toccato di tutto, dalle forature, al disincagliare la jeep al fortino. Se in LISSTA c'è un signore, egli è Paolo Lucidera. E con la TA, su sabbia, se la cava mica male.

Franz. Non si è goduto granché del percorso. Dopo la caduta ci ha seguiti in jeep. Non so cos' abbia pensato in proposito, e non ho visto come se la cavasse prima di cadere, ma se ripenso alla Pista di Guermessa ed ai suoi pericoli, ed a quello che poteva succedere lì... Franz, non te la prendere. E' stata dura per tutti, anche per i ragazzini. Quello che conta è che tu te la sia cavata e sia rimasto con la truppa.

Diws. Franco da Trieste era sempre tranquillo, lindo, elegante, sorridente, simpatico, rilassato e molto efficace su sabbia. Vuoi vedere che la scelta di una moto da 130 Kg sia stata quella vincente? Ma attenzione... eravamo in Tunisia e la sua prestazione magari era sotto il patrocinio del Divin Bettino, a lui così somigliante. Dal paradiso del contumaci, Craxi doveva sostenerne l' incedere nell' ospitale terra tunisina. La prossima volta passeremo da Hammamet a mettere i garofani.

Hammer, di nome e di fatto. Un tipo che ci mette un po' per rivelarsi, silenzioso, dallo sguardo duro. Mi ricorda un sergente maggiore di qualche reparto speciale. Capelli a spazzola, di poche parole e molti fatti. Istruttore di sub, rocciatore. Un mastino. Poi abbiamo parlato un po'. Alla fine siamo tutti delle persone con un' anima e dei sogni.

Filippo, l' ingegnere frenetico. Facendo un mestiere non troppo lontano dal suo, e riconoscendomi non del tutto sano di mente nemmeno io, sono portato a simpatizzare apertamente per questo generoso milanese, con cui ho scoperto un numero preoccupante di punti in comune. Quando vi abitavo, mi piaceva Milano proprio perchè vi si potevano incontrare tipi così, esuberanti e sinceri spaccamondo con cui era solo un divertimento aver a che fare.

Marco, il più giovane, quasi di una generazione successiva a quella di tanti di noi, nati tra la metà dei '60 e l' inizio dei '70. Avrei voluto parlarci di più per capire meglio cosa bolle in pentola di chi adesso ha la sua età. Dai giornali e dalle notizie che circolano (la televisione non informa: blatera notiziole innocenti) la situazione per chi non ha trent' anni, professionalemte parlando, è uno schifo. Zero disponibilità. Marco è un libero professionista, ma stà già sgomitando, e temo dovrà farlo sempre più, in questo mondo di vecchi che si fanno restaurare e non si rassegnano a mollare l'osso, finché, una buona volta, la morte non li fulmina. In bocca al lupo, Marco. Certo che le foto le sai proprio fare...

Concludendo...

Se non fosse stato per coloro che hanno ideato, coinvolto, organizzato, tirato le fila, il viaggio non sarebbe mai stao possibile.Non credo di sbagliare se individuo in Dijetto ed in Bibo, con la collaborazione di Gegè, i fautori dell' avventura.

Bibo ha messo a disposizione tutta la sua esperienza, e posso assicurare che è servita...

Il gran lavoro di preparazione nel mese di febbraio, la precisione e la puntualità dei suoi consigli e delle su disposizioni, sono risultati materiale prezioso, impagabile.

Le sue considerazioni riguardo alle tracce GPS delle piste sono giustissime. Spero che le sue raccomandazioni siano accolte. Si tratta di puro buon senso.

Un ringraziamento particolare va a Filippo, che ci ha messo a disposizione la sua portentosa jeep (Dio sa quanto sia stata utile!) e la sua perizia, nonchè la sua allegria, e a Marco, che, ha scattato delle foto bellissime oltre ad essersi prodigato in ogni sorta di aiuto, sempre con il sorriso.

Ciao

Andrea KL