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Moustier - Alessandro Margnetti

Autore: Alessandro "Orso" Margnetti

Sottotitolo: Giro a uccelli e farfalle

Moustier, 23 aprile


L'inizio è antipatico. Il tempo di scaldare un po' il motore, dieci chilometri sì e no, e comincia a piovere. Trenta secondi di acquerugiola e poi viene giù decisa, tanto che a Saronno sono zuppo. Giacca e pantaloni tengono bene l'acquata, ma mi sento pesante. Poi, come ha cominciato smette e nei dintorni di Biella godo dell'illusione di un'occhiata di sole. Il cielo tornerà a imbronciarsi ma mi lascerà asciutto.

Dalle parti di Rivoli scelgo la statale verso Cuneo. Non è una grande scelta: il paesaggio è monotono e la strada peggio: lunghi rettifili interrotti da qualche paese, borgo, embrione di cittadina.

Da Cuneo a Borgo san Dalmazzo ci vuole un attimo; il tempo di pensare a che razza di nome sia “Dalmazzo” e alle facili rime. Il santo si chiamava Dalmazio e il nome, oggi raro, era quello appartenuto al santo evangelizzatore delle Alpi, originario della Val Maira e martirizzato nel 254.

Dal Borgo potrei seguire la strada del Tenda, ma mi complicherei la vita: dovrei quasi certamente pernottare da qualche parte nel Mercantour e con questo tempo e con il tempo previsto per domani non ne ho voglia. Risalgo così la Valle di Stura verso il Colle della Maddalena attraverso villaggi furenti per il traffico di TIR che attraversano, sbuffando e fumando, le loro strettoie. “Basta TIR!” “Sì alla DAV!” “Fuori i TIR dentro il Turismo!” “Basta TIR!” sono le scritte che campeggiano sui muri e inneggiano da lenzuola rese lerce dalle polveri fini e sventolanti dai balconi. Sono strade pensate in altri tempi e per altri traffici: gli abitanti di Moiola, Demonte, Vinadio, hanno la mia tacita solidarietà. In Cima alla valle si incontrano il Villaggio Primavera, esempio mal e mai concluso di speculazione edil-turistica, Ferrere e Argentera, dai nomi che sembrano evocare un'antica attività mineraria. L'ultimo agglomerato è Grange, distrutto da un incendio durante la Seconda guerra mondiale e oggi popolato da una colonia di marmotte e da quello che sembrerebbe un eremita pentito o un abusivo dotato di antenna parabolica.

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Raggiungo il Colle della Maddalena cercando di pennellare la ventina di tornanti che portano su.

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C'è ancora qualche chiazza di neve qua e là, ma la strada è sgombra e asciutta. In alto, un grosso rapace gioca col vento. Il collo scuro e il resto chiaro e screziato me lo fanno identificare come un biancone, un grosso rapace appartenente alla famiglia delle aquile.
Di là c'è la Francia e il Colle cambia nome. Si chiama Col de Larche, dal nome del primo paese che s'incontra scendendo.
La strada che scende la valle dell'Ubaye è bellissima e in breve raggiungo Barcelonette e punto su Seyne les Alpes, poi Digne-les-Bains e infine, seguendo la strada per Nizza, Moustier Sainte Marie. È pieno di Madonne questo percorso, ma la regione è densa di leggende legate alle Marie, al Graal, ai Templari.
Pernotto all'Hotel le Colombier. Non c'è servizio di ristorante, ma il personale è gentile e il posto tranquillissimo. A piedi, in dieci minuti sono nel Centro di Moustier e una passeggiata di dieci minuti dopo quasi 600 km di sella non mi farà male di certo.
Dopo essermi arrampicato fino alla Chapelle de Nôtre dame de Beauvoir (e quando si arriva in cima di buon passo la Madonna si vede davvero),

Moustier

ceno alla Cantine, piccolo ristorante di cui avrò ancora modo di parlare e vado a letto presto, ninnato dalla nota malinconica di un assiolo lontano.


Moustier, 24 aprile

Tempaccio infame. Ha piovuto tutta la notte con un vento impetuoso che mi ha costretto ad alzarmi perché pioveva dentro la camera.
Stamattina faceva freddo, ma sembrava che il cielo volesse rasserenarsi un poco. Lo ha fatto. Poi ha piovuto di nuovo, poi è tornato il sole, poi ha grandinato. Mentre scrivo piove di nuovo e c’è ancora il vento. Verso sud dove, c’è il Verdon, si vede il sole; verso Digne è nero.
Il programma di oggi mi vedeva a trovare gli amici del Jardin des Papillons di Digne-les-Bains per un incontro entomologico. A parte la gioia di ritrovare Sonia e Antoine, i due animatori del Giardino e di conoscere Olivier che lì fa uno stage e che ho conosciuto solo attraverso il Forum dedicato, a parte questa gioia, dicevo, la giornata è stata un mezzo disastro. Abbiamo preso vento, acqua, freddo e come si poteva prevedere non abbiamo potuto osservare quasi nulla.

Una cosa però mi è sembrato di notarla: lo spirito che anima (stavo per scrivere “animava”) la LISSTA, in fondo si trova anche in altri àmbiti. Il senso di appartenenza, quello che ci fa salutare i motociclisti che incontriamo per la strada, che ci fa sentire bene quando ci troviamo tra noi, non è una nostra prerogativa. Fra appassionati di entomologia - ma immagino anche tra filatelisti, geologi, appassionati di barca a vela – si verifica qualcosa di simile. Ho conosciuto Sonia tre anni fa, in occasione di un giro nella zona e Antoine lo scorso anno, tornandoci con Doris in macchina. Abbiamo passato un paio d’ore assieme e sono bastate per cementare un’amicizia. Oggi condividiamo la delusione, la pioggia, il freddo e ci sentiamo vicini.
Torno a Moustier e non riesco a essere deluso. La strada tra Digne e Moustier è molto bella, ma la scorciatoia che evita Riez e da Puimoisson porta a Moustier è splendida. Con i campi di lavanda fioriti dev’essere magica. Oggi, i campi di colza sembrano zone risparmiate dalle nubi e diventano un surrogato di sole.

Moustier

Moustier, 25 aprile

Oggi prevedo pochi chilometri in moto e parecchie ore a piedi.
Tre anni fa, le notizie raccolte da un vasaio e da un albergatore mi avevano portato a Rougon, la capitale degli avvoltoi del Verdon. Questi grossi rapaci mi avevano impressionato e oggi voglio tornare ad ammirarli mentre decollano dalle scogliere a piombo sulla strada, cento metri sotto, percorsa da camper ignari. Devo percorrere pochi chilometri, ma la strada è comunque impegnativa e i molti sassi precipitati sulla carreggiata con il vento e la pioggia di ieri richiedono prudenza, ancor più di quella a cui raccomanda un cartello posto ai lati della strada.

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In mezzo a una curva incrocio un grosso autocarro arancione dotato di lama spazzaneve. È vero che sulle cime più alte ha ancora nevicato, ma cosa ci fa uno spazzaneve lungo le strade del Verdon? Rallento e vedo che lo spazzaneve è un’illusione ottica: è uno spazzasassi preposto a levare dalla carreggiata le pietre di cui dicevo.
Raggiungo Rougon e impiego un attimo a trovare un angolo dove lasciare la moto. All’entrata del paese c’è uno spiazzo abbastanza ampio dove posteggiare una moto è difficile: è talmente messo in pendenza che se lasci la moto in un posto ti si rovesia e se la giri nell’altro senso ti cade addosso mentre scendi. Vedo un Dominator targato GB e mi piazzo dietro, non senza qualche difficoltà su una pezza di erba e fango fresco.
Bisogna camminare un po’ per arrivare al dormitorio degli avvoltoi. Si segue una sterrata che sarebbe bello percorrere in moto ma che è chiusa al traffico di noi comuni mortali e si arriva nei pressi di un gabbione che funge da mangiatoia per i grossi rapaci della zona. Fortuna vuole che sia fresco e che sono in sopravvento. Ho già conosciuto il tanfo del carnaio-mangiatoia. Mi avvicino guardingo ma non vedo il grosso grifone

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che, spaventato, a pochi passi da me si getta nel precipizio. Sento solo un breve “fft” d’aria e vedo due immense ali sparire oltre il ciglio del burrone.
Al dormitorio conto una ventina di avvoltoi. Sono quasi tutti grifoni. Ci sono anche due grossi esemplari di avvoltoio monaco che così neri giustificano il loro nome, anche se a me sembrano due becchini. In fondo lo sono. Torno verso Rougon e mi inerpico per un sentiero dove spero di vedere qualche farfalletta. La speranza non è disattesa e riesco a trovare qualche specie a me sconosciuta.
Torno al paese e mi fermo a mangiare una crespella al “Mur d’abeilles”. Non si può e non si deve andare a Rougon senza fermarsi al “Mur d’abeilles”. Prendo una crespella al formaggio di capra con miele al rosmarino e pinoli. Detto così può far arricciare il naso, ma è davvero deliziosa. La annaffio con mezzo litro di un eccellente sidro mentre contemplo la vallata che si estende verso sud e, in alto, i cumuli di nubi come grosse pecore in un pascolo azzurro. Ci si potrebbe lasciare invecchiare in questo silenzio e in questo paesaggio.
Torno per un attimo lungo la sterrata. In una discarica ho visto volare parecchie farfalle e vorrei verificare un po’ di cosa si tratta. Trovo un Licenide che conosco (una di quelle minuscole farfallette di colore azzurro che capita a tutti di incontrare durante la bella stagione). Scatto un paio di fotografie all’animaletto perché mi sembra che qui sia un avvistamento poco comune. Antoine mi dirà che il mio è il quattordicesimo avvistamento in assoluto in tutta la regione delle Hautes Alpes e la prima a Rougon. La cosa mi riempie di orgoglio.
Torno sul fondovalle e vado verso la Palud, dove devio per la strada delle Grandes Crêtes.

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Salgo verso il “point sublime” e poi su, fermandomi di tanto in tanto in uno dei numerosi belvedere che si trovano a fianco della strada. Contro il cielo basso e grigio si stagliano alcuni avvoltoi che giocano con il vento che di nuovo si sta alzando. Prima di tornare a Moustier devio verso il Lac de Saint Croix. Il posto è ingombro di turisti e pescatori e non mi emoziona. Rientro in albergo e dopo una doccia vado a percorrere il “sentier botanique” che parte nei pressi del cimitero e va a mezza costa verso chissà dove. Camminando mi passa per la testa un ritornello quasi fastidioso: “io per me amo le strade che dagli erbosi fossi… io per me amo le strade che dagli erbosi fossi”. È Eugenio Montale che viene a farmi visita in questo nostro comune paesaggio mediterraneo.
Una cena discreta ma non eccelsa e vado a dormire presto.


Moustier, 26 aprile

Più che una nota motociclistica mi trovo a estendere un appunto entomologico.
La moto mi ha portato lungo i godibilissimi 80-90 km tra qui, Digne e ritorno con qualche spicciolo attorno alla Cittadina. Per il resto è stato un gran camminare. È l’ultimo giorno che ho a disposizione per trovare la Zerinthia rumina, una sorta di Santo Graal per gli appassionati di qui e non solo. Antoine mi segnala due siti possibili dove, a suo dire e dalle dieci di mattina, dovrei poter osservare l’agognata farfalletta.
Mi sposto lungo l’ormai solita strada verso Digne. È sempre un bell’andare: non c’è traffico, si può tenere una velocità decente (novanta km/h fuori dai centri abitati e cinquanta attraverso i villaggi con qualche tratto limitato a settanta dove si ritiene che qualche incrocio o curva siano particolarmente pericolosi). I campi di lavanda sono tappeti color ocra con lunghe strisce grigie:

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i cespugli apparente morti della pianta, spogli e tristi, che fra pochi mesi tingeranno di azzurro-viola il paesaggio. Lunghi rettilinei che terminano in un’improvvisa curva a gomito che immette su uno stretto ponte con i parapetti in pietra, poi mezze curve che di colpo si trasformano in tornanti che vi fanno salire una collinetta, vi buttano in un paesaggio in continuo cambiamento e vi regalano il piacere della guida. Vi sentite responsabili: non ci sono limiti al di là di quei 90-70-50 km/h. Ci sono segnali di curva o doppia curva pericolosa, di incrocio, di restringimento e voi dosate la manetta in modo del tutto naturale e vi scoprite a cantare dentro il casco.
Questo mi succede nei tre quarti d’ora scarsi tra Moustier e Digne.
Poi è un gran camminare alla ricerca della Zerynthia. La trovo o, meglio, la trovano per me Sonja e Antoine.

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Siamo in un bosco di lecci bassi, tra pascoli incolti e cascinali in rovina. “La proserpine!”, grida Sonja, e comincia l’inseguimento della farfalletta che di tanto in tanto si posa, riprende il volo e si riposa finché, ormai stanca, si ferma e si lascia fotografare. Vittoria!
Un po’ oltr trovisamo la sua parente, la Zerynthia polixena, che si trova anche in Italia e si ripete il rituale fatto di inseguimenti e appostamenti. Dopo un paio d’ore di pellegrinaggio siamo tutti stanchi, accaldati e assetati ma euforici: io perché ho trovato quel che cercavo, i miei amici perché sono riusciti a farmelo trovare.
Arrivo in albergo più tardi del solito. Una doccia e torno a cenare alla Cantine.
Mentre sto sorseggiando il mio aperitivo, un Pastis che inondo d’acqua per recuperare il sudore speso in giornata, entrano due ragazzi. Dalle giacche li direi motociclisti e i loro contrassegni indicano che sono italiani. La Cantine è piccolissima: diciotto posti a sedere. Gli ultimi due sono quelli accanto a me e così i ragazzi si siedono. Tra motociclisti ci si riconosce e inevitabilmente si chiacchiera. Sono lì su segnalazione della gerente della loro “Chambre de hôte”. Oggi a mezzogiorno, su segnalazione della stessa erano al “Nid d’abeilles” di Rougon. Il fatto di frequentare o di aver frequentato gli stessi posti ci fa sentire più vicini. Sono di Bologna, abbiamo avuto qualche comune conoscenza. Si chiacchiera e si tira tardi. Alle udici, dopo un obbligatorio scambio d’indirizzi, sono in albergo. Preparo le borse da viaggio, sistemo le macchine fotografiche, cerco di mettere al sicuro i due sacchetti di lavanda e il vasetto di miele che ho comprato. Di più nelle borse non ci sarebbe stato. Per l’anno prossimo dovrò procurarmi due valigie laterali. Scrivo due appunti e mi accuccio. Sono stravolto.


Camorino, 27 aprile

Mi sono alzato presto. Ho caricato la moto, ho fatto colazione, ho pagato l’albergo e alle otto e mezza sono sulla strada. Riempio il serbatoio e via. Decido di raggiungere Seyne – les – Alpes passando dalla panoramica che risale la sponda destra della Bléone, verso Barre. Passo davanti al Jardin des Papillons e mando un saluto carico d’affetto e di riconoscenza ai miei amici, poi proseguo lungo una strada che costeggia un paesaggio alluvionale e che a tratti penetra in gole profonde che si riaprono su scenari via via diversi: pascoli, anfiteatri di montagne incuffiate di neve, frutteti.

Moustier

Raggiungo Seyne, poi Barcelonette sotto lo sguardo severo dei forti che si trovano a nord della cittadina e che controllano sia la strada verso il Col de Larche, sia verso il Col de Vars, attacco a salire la valle dell’Ubaye, ripercorro la Valle di Stura (per un tratto dietro un enorme e mefitico TIR), rifaccio il pieno dopo 300 km (poco più di 11 litri) e punto su Torino, poi Milano e il suo traffico congestionato lungo la tangenziale nord, infine una volatona per gli ultimi cento chilometri che mi separano da casa.
Arrivo che la cena è pronta.