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La nebbia

Autore: Alessandro Margnetti alias Orso Poeta

Fuori pioviggina, ma non così forte da impedirmi di prendere la moto e salire alla tana. Devo portare su le croste del formaggio, il pane secco, le pelli del salame e della mortadella, le ossa del pollo. Gli avanzi che non posso mettere nel compost e mi spiace buttare nella pattumiera saranno goduti dalla volpe, dal tasso, il pane dai cervi, forse.

La strada è bagnata, qua e là il tombino o la foglia regalano quell'attimo di vuoto che la moto ben sopporta e al quale, pian piano mi sto abituando. Le strade bagnate mi hanno sempre fatto un po' di paura. Il primo capitombolo vero, non avevo ancora la patente ed era l'autunno di nove anni fa, l'ho fatto su una strada bagnata e mi è rimasto addosso. La moto attuale, in questo senso, è terapeutica.

Dopo i primi tornanti comincia la nebbia.

Entrare nella nebbia con l'automobile è una seccatura. Semplicemente è un ostacolo impalpabile che ti preclude la visuale. In moto è un'altra cosa. È una materia diversa che regala nuove prospettive e aspettative. Cinquanta metri diventano dieci o cento. Lo spazio si contrae e si dilata anche se la strada la sai a memoria. La mezza curva sembrava meno ampia, il tornante più stretto. L'orizzonte è scomparso e non ti distrae; sei attento a quello che riesci a vedere e questo mondo trasfigurato ti emoziona.

Per me la nebbia è sempre stata una specie di impalpabile porta sul mistero, una porta che si prolunga quanto è lunga la nuvola in cui ti trovi a navigare. La nebbia è un regalo. Le nubi che vedi in cielo e che sono lì per la gioia esclusiva degli aviatori, per una volta scendono e si concedono a te, povero motonauta terrestre. Le case e i campanili delle contrade appaiono come fantasmi. Poi le ombre si chiariscono per un attimo si vedono finestre aperte, lumi domestici, tricicli nei cortili che subito scompaiono. La nebbia è la metafora del nostro andare ciechi: quel che c'è davanti lo intuiamo appena, quel che c'è dietro diventa subito confuso.

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A questo penso, salendo tornante dopo tornante e anche l'autunno inoltrato diventa metafora della nostra esistenza che è un continuo rinnovarsi.

Passo nucleo di Carena e proseguo lungo la semi - sterrata che va verso l'Alpe di Giumello. 
Dopo poco lascio la moto su uno spiazzo e salgo i cinque minuti che mi separano dalla tana.

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Lascio il cibo ai miei amici animali, osservo un'impronta enorme di ungulato, un cervo sopravvissuto assieme a tanti altri alla stagione di caccia. Faccio un breve giro per i prati zuppi di pioggia, scatto un paio di fotografie e torno giù.

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Sulla strada non c'è nessuno. Quasi quasi ne approfitto per farmi passare altre paure. Vado fino alla barriera. Nelle mezze curve un colpo di freno posteriore e un colpo d'acceleratore mi regalano minuscole derapate che mi riempiono di gioia. Non viaggio veloce e mi sembra che tutto riesca a puntino. Non è la guida di un fuoriclasse, ma mi diverto e i piccoli scarti della ruota posteriore mi riempiono di gioia. Questa è vita! Questo è un dono dell'autunno, della nebbia, dell'allegria che si cela dietro a ogni momento vissuto con intensità.

Mi fermo alla locanda dove ho passato tante ore con la gente del posto e dove vengo accolto da sorrisi e saluti. L'oste mi offre una birra e riprende la sua partita a scopa. Si sta bene qui, ma è ora di scendere.
A Giubiasco mi scopro con un sorriso ebete e beato sulle labbra. Venti chilometri soltanto. Non mi hanno allungato la vita, ma l'hanno di sicuro allargata.

Ciao!
ale

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