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Davide Nicora aka Grifo

Partenza. Presto, ma senza esagerare: sono le 7:58.

Destinazione: Montebuono di Magione, sul lago Trasimeno. Il navigatore segna circa quattro ore di viaggio, perfette per arrivare giusto in tempo per pranzo da Faliero Torta de la Maria, in Via di Montebuono 2, 06063 Montebuono (PG).


Il viaggio fila via abbastanza liscio. Qualche cantiere qua e là, soliti cambi di corsia, ma niente di drammatico. Si passa per Lucca, poi una bella tirata fino a Firenze, e da lì tutta l’A1 che diventa E35, fino all’uscita Valdichiana. Da lì si prende il raccordo che porta dritto al lago. Arrivo quasi spaccando il minuto.

Faliero Torta de la Maria:

Spazio enorme, sia all’interno che all’esterno. Il menù è vasto, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Quello che ho preso era buono, senza fronzoli ma fatto come si deve. E la spesa? Onestissima. Uno di quei posti dove esci soddisfatto, senza il portafoglio in lacrime.

Complice forse un bicchiere di rosso di quelli che ti fanno credere che il mondo sia un posto decente, decido di sbragarmi fuori al sole, a godermi il venticello come se fossi in una pubblicità di crema solare per uomini disillusi.

Poi, a un certo punto, mi ricordo che ho una destinazione: Hotel Fonte Angelica. Reimposto il navigatore, e lì comincia il circo. Il bastardo digitale impazzisce. Mi fa girare in tondo come se fossi in un videogioco mal programmato, tutto blu, tutto confuso. Ma io lo ignoro. So dove devo andare. Dritto. E me ne fotto.

Lui insiste. Gira di qua, gira di là, sembra voglia farmi fare il giro della morte. Ma io? Sempre dritto. Sempre più convinto. Sempre più testardo.

Cambio cellulare, perché magari è il telefono. Ma no, anche quello nuovo è posseduto. Stessa storia. Stesso delirio.

E lì, in fondo all’abisso del mio ego, una vocina sussurra: “Belinone, non è che stai andando contromano?”

Ma figurati. Sarà la zona. Sarà il karma. Sarà che il mondo è storto, non io.

Poi, dopo qualche chilometro, quella sensazione fastidiosa – tipo quando ti rendi conto che hai risposto “a te e famiglia” a un funerale – si fa strada. E capisco. Sto facendo il Grand Visir di tutti i belinoni deluxe.

Inverto la rotta. E, come per magia, il navigatore torna a funzionare. Bastardo.

Arrivo all’hotel in condizioni epiche: paonazzo, sudato, con le chiappe in fiamme dopo due ore in sella che sembravano un supplizio medievale. L’unico pensiero fisso: una doccia. Fredda, lunga, liberatoria.

Mi accoglie Franz, sorridente, con una foto pronta, gadget, accessori e tutto il kit da benvenuto. Accanto a lui c’è anche Ask, più distinto, serio, con una polo blu che lo fa sembrare il responsabile della sicurezza dell’albergo. Sta dietro al banco della reception, impassibile, e io – nella mia nebbia mentale da post-viaggio – lo scambio per un dipendente pronto a controllare i documenti.

Non lo riconosco. Non lo saluto. Non lo degno nemmeno di uno sguardo. Perché nella mia testa c’era solo una cosa: la fottutissima doccia.

Dopo una doccia che ha lavato via sudore, stanchezza e forse anche un paio di peccati, mi concedo un pisolino ristoratore. Le primavere si fanno sentire, anche se non pesano ancora troppo. Ma il corpo, si sa, tiene il conto meglio della mente.

Mi risveglio più umano e scendo a cazzeggiare. Fuori, un fiume di moto si sta radunando come se ci fosse un richiamo ancestrale a due ruote, che so un evento tipo un venticinquennale del piu simpatico gruppo di Motociclisti. Osservo, scruto, provo a riavviare il riconoscimento facciale interno – quello biologico, non quello del telefono – e finalmente qualche volto noto emerge dalla nebbia neuronale.

Niente nomi, ovviamente. Chi c’era sa. E chi ha parlato con me, sa che abbiamo parlato. Il resto è rumore di fondo.

Tanta strada sotto le ruote, tante curve scorrevoli che sembrano disegnate apposta per far respirare la mente. Il secondo giorno sembrava una speciale.

Si attraversano borghi segnati, feriti, piegati dal terremoto. Ma non spezzati.

C’è una dignità silenziosa in quei muri crepati, in quelle impalcature che sembrano abbracci temporanei. La gente, lì, non si arrende. Ricostruisce dove può, si adatta dove deve. Non c’è rassegnazione, solo una forma diversa di forza. Quella che non fa rumore, ma tiene in piedi tutto.

Ieri i saluti ed una bella visita di guidata al borgo di Nocera Umbra, al termine del quale veramente ci sono stati gli ultimi ed un po sofferti saluti.

Un grazie di cuore a tutti gli organizzatori per il lavoro notevole, sempre fondamentale.
E un grazie altrettanto grande a tutti i partecipanti: siete voi a rendere gli incontri Lissta qualcosa di molto più di un semplice giro in moto. È condivisione, è spirito, è comunità. E ogni volta, è un po’ come tornare a casa.
(so che il concetto è già stato enucleato da altri in vari messaggi, ma mi andava di ripeterlo)

Vs
Grifo